Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Barbone bruciato indagati due minori «Era uno scherzo»

Choc a Verona. L’uomo arso vivo in auto

- Andrea Priante © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Choc nel Veronese. Due minorenni di 13 e 17 anni sono indagati per la morte di un barbone, trovato carbonizza­to nella propria auto. Uno dei due, quello più piccolo, davanti ai carabinier­i avrebbe parlato di uno «scherzo». La gente del posto da tempo vedeva un gruppetto di adolescent­i «tormentare» per noia il marocchino.

ZEVIO (VERONA)«Volevamo solo fargli uno scherzo». Gli occhi impauriti sono quelli di un bambino che dimostra perfino meno dei suoi tredici anni. Di fronte al magistrato Stefano Aresu è spaventato ma non piange, come non si rendesse conto fino in fondo in che razza di guaio si è cacciato: sospettato assieme a un amico di 17 anni per l’omicidio di un clochard marocchino, arso vivo nell’abitacolo della vettura abbandonat­a a Zevio, nel Veronese, che da qualche tempo era diventata la sua casa.

Le indagini sono ancora in corso e quindi anche quella che suona una confession­e, vista l’età del ragazzino, viene presa con le pinze dai carabinier­i. Fonti investigat­ive si limitano a confermare che per la morte di Ahmed Fdil, 64 anni, trovato carbonizza­to il 13 dicembre alle 20 di sera, «ci sono degli indiziati a piede libero». Nient’altro. Il racconto fatto dal minore in queste ore viene analizzato e confrontat­o con le testimonia­nze della gente del posto, che da tempo vedeva un gruppetto di adolescent­i «tormentare» per noia il marocchino, che in Italia viveva da quasi trent’anni e che era finito a vivere per strada dopo che la fabbrica nella quale lavorava come operaio specializz­ato l’aveva inserito nell’elenco dei dipendenti in esubero.

Quella sera, i vigili del fuoco erano stati chiamati per spegnere le fiamme che avvolgevan­o la Fiat Bravo con all’interno Fdil. Lui avrebbe anche tentato di liberarsi, visto che il suo corpo era in parte riverso all’esterno, all’altezza della portiera anteriore destra. Ma non ce l’ha fatta. Inizialmen­te si pensava a una tragica fatalità. Il clochard fumava molto, nel paesino di Zevio l’avevano soprannomi­nato «Il Baffo» e lo descriveva­no «sempre con la cicca in bocca». Quindi l’ipotesi dell’incidente: il marocchino che si addormenta con la sigaretta tra le mani, magari dopo aver bevuto troppo, il mozzicone che cade sulle coperte e i tessuti che prendono fuoco, scatenando l’inferno.

Ma già nei giorni successivi, tra la gente hanno cominciato a circolare strane voci. Alcuni testimoni, e i connaziona­li della vittima, raccontava­no di alcuni adolescent­i che avevano preso di mira Ahmed Fdil con scherzi di vario genere. «Quei ragazzini, saranno stati due o tre, lo perseguita­vano», racconta Sonia, che abita a due passi dal luogo del rogo. «Li ho visti che lo pedinavano, rimanendo rasente ai muri. E poi il rumore dei petardi che gli tiravano contro .... Anche quella sera ho sentito un botto, e quando mi sono affacciata alla finestra ho scorto le fiamme intorno all’auto». A distanza di quasi un mese, a poche centinaia di metri dal piazzale in cui si è consumata la tragedia, sull’asfalto ci sono ancora i resti di cartone delle «miccette» esplose.

Diversi residenti indicano con insistenza l’abitazione di una coppia: «Loro avevano affrontato quei teppistell­i faccia a faccia, dicendo che dovevano piantarla di molestare Il Baffo. Ma non è bastato...». La coppia, due profession­isti, non vuole esporsi: quello che avevano da dire, probabilme­nte, l’hanno già riferito ai carabinier­i.

Utili alle indagini sarebbero le foto e i video forniti proprio dai primi soccorrito­ri intervenut­i sul posto, alcuni dei quali

mostrano l’auto in fiamme. Ma a spostare l’attenzione sui ragazzini sono le testimonia­nze di chi, al momento del rogo, ha sentito lo scoppio. Una delle ipotesi, ancora tutta da verificare, è che i ragazzini possano aver lanciato dei petardi nell’auto nella quale dormiva il marocchino e che la fiammata abbia innescato l’incendio.

Il tredicenne, sentito dagli investigat­ori, avrebbe invece raccontato di aver dato fuoco, assieme all’amico, a della carta assorbente per poi lanciarla attraverso il finestrino. Infine la fuga e il «patto di sangue» tra i due adolescent­i: non rivelare mai a nessuno quanto accaduto quella sera. Ma le bugie sono crollate sotto le domande del pm di Verona che, dopo aver raccolto la testimonia­nza del tredicenne, ha immediatam­ente inviato il fascicolo - compreso della relazione dei vigili del fuoco alla procura per i minorenni di Venezia, che dovrà decidere come procedere nei confronti dei ragazzini. Entrambi restano a piede libero. E il tredicenne, vista l’età, non è neanche imputabile.

 ??  ?? Gino Capo (a sinistra), il residente che per primo ha cercato di spegnere l’incendio e di estrarre dall’auto il clochard, mentre parla con Salah, il nipote della vittima
Gino Capo (a sinistra), il residente che per primo ha cercato di spegnere l’incendio e di estrarre dall’auto il clochard, mentre parla con Salah, il nipote della vittima
 ??  ?? La Fiat Bravo nella quale da un po’ di tempo dormiva Ahmed Fdtil, ridotta a un ammasso di lamiere contorte dopo l’incendio divampato la sera del 19 dicembre a Zevio, nella frazione di Santa Maria.
La Fiat Bravo nella quale da un po’ di tempo dormiva Ahmed Fdtil, ridotta a un ammasso di lamiere contorte dopo l’incendio divampato la sera del 19 dicembre a Zevio, nella frazione di Santa Maria.
 ??  ?? chiamava La vittima: si Ahmed Fdil, aveva 64 anni ed era di origini marocchine. In Italia da oltre vent’anni aveva lavorato come operaio prima di perdere il posto
chiamava La vittima: si Ahmed Fdil, aveva 64 anni ed era di origini marocchine. In Italia da oltre vent’anni aveva lavorato come operaio prima di perdere il posto
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Carbonizza­to L’auto distrutta del clochard
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