Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Farina, il patron ai tempi di Pablito: prima dei soldi è finita la passione
Giussy: «Ai miei tempi c’era più entusiasmo. E senza fai poco»
Fa male anche a lui. «Spero che arrivi qualche imprenditore della città, adesso, uno che per il pallone nutra vera passione…».
Lui è Giuseppe «Giussy» Farina, 84 anni, vicentino di Gambellara, veronese d’adozione, presidente del mitico Lanerossi dal 1968 al 1980, nel mezzo anche proprietario del Padova, poi il Milan fra ’82 e ’86. Da Lughezzano, a Bosco Chiesanuova, monti della Lessinia veronese, Farina guarda con malinconia allo sgretolamento del club biancorosso.
Come l’ha presa, Farina?
«Dispiace. Purtroppo, in questo mondo, succede. Una cosa è certa: per mandare avanti una squadra di calcio ci vuole l’appoggio morale del popolo, dei tifosi. Ai miei tempi il Vicenza aveva 20mila abbonati…».
Ci vogliono anche i soldi, però...
«Mai stati determinanti, bastassero quelli per vincere i campionati… Ci vuole dell’altro e parlo dell’ambiente. C’è un problema a monte dei soldi, a Vicenza, e cioè la squadra ch’è andata in C. Il che non è sempre colpa del denaro o del presidente. È colpa di tutti».
E adesso?
«Adesso serve un imprenditore che viva la società. Io andavo in sede con l’impiegato tutti i giorni. Non puoi mandare i soldi per gli stipendi e poi arrivederci».
I giocatori del Vicenza sono senza stipendio da mesi...
«Li capisco, sono uomini, hanno i loro problemi, logico che cerchino anche loro di difendersi. Non capisco la Federazione, semmai…».
Cioè?
«Un fallimento non succede in 15 giorni. La Federazione dovrebbe controllare, rendersi conto per tempo se in un club c’è qualcosa che non va e nel caso aiutare a trovare un rimedio. È anche un suo fallimento, questo».
È anche una storia di 115 anni che rischia di finire...
«Nel ’78, subito dietro la Juventus c’era il mio Vicenza con Fabbri in panchina e Rossi in attacco. Avevamo l’ap-
Farina Perché non ci si è accorti di nulla?
poggio di tutti: sindaco, città, club dei tifosi, che frequentavamo sempre. Quando perdi l’ambiente, ripeto, perdi qualcosa ch’è irrecuperabile».
È stata l’avventura più bella della sua carriera?
«Sì. Al Milan dovevi vincere lo scudetto se volevi vedere lo stesso entusiasmo che scatenò il secondo posto del Vicenza…».
Al fallimento ci andò vicino proprio col Milan...
«Il Milan mi fu scippato da Berlusconi che prese i bilanci e li portò in Procura. C’era un fatto di Irpef non pagata. Ma il bilancio del Milan era come quelli di tutte le altre squadre. Era il calcio a essere malato».
E il calcio d’oggi?
«Finché ci sono i tifosi resterà sempre in piedi. Difatti vedo che si va avanti. E che i cinesi ci mettono soldi».
Per il Vicenza c’è l’esercizio provvisorio, quindi qualcuno può ancora rilevarlo…
«Siccome il Vicenza si chiama Vicenza, sarebbe più bello se arrivassero imprenditori della città. Però se i cinesi sono bravi, che vengano loro».
E lei, se potesse, lo rileverebbe il Vicenza?
«Alla mia età mi manca il fisico, non certo la passione. Teoricamente, la risposta è sì. All’atto pratico è diverso».
Chiudiamo con una speranza per il Vicenza?
«Che finisca in buone mani, cioè le mani di qualcuno con la passione per il calcio».