Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Ida Barbarigo, il talento dei Cadorin nella vita di Music

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Èmorta lunedì Ida Cadorin Barbarigo, grande artista veneziana e cittadina del mondo, nella sua casa/studio affacciata sul Canal Grande. Colpisce - in queste ore - il silenzio istituzion­ale che circonda questa scomparsa. Ci era nata, a Venezia, nel 1920 e si era nutrita di arte, musica, poesia fin da piccina: il padre Guido, grande pittore, le sarà maestro anche quando Ida si iscriverà, dopo un iniziale apprendist­ato nello studio di architettu­ra dello zio Benno Del Giudice, all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove seguirà i corsi anche di Arturo Martini. La famiglia Cadorin conta talenti artistici in ogni settore, dall’intaglio alla scultura e al mosaico, dalla pittura all’incisione; la mamma di Ida, Livia Tivoli, pittrice e poetessa concorre nella costruzion­e della fantasia artistica della figlia che spesso ricorderà le affascinan­ti letture serali della madre da Le mille e una notte. Ida dunque cresce in un’atmosfera pregna di valori artistici – ma il padre diffidava i suoi figli dal seguire le sue orme dicendo che essere artisti è una cosa tremenda!- e, quasi il suo destino fosse segnato, incontra l’amore della vita , Zoran Music, pittore, a Trieste nel 1940. Music viene internato a Dachau ma sopravvive e nel 1949 sposa Ida. Poco dopo vanno a Parigi che diventerà la seconda città fatale per Ida. Negli anni Cinquanta prende le distanze dal nome del padre e su suggerimen­to della Galerie de France assume il cognome Barbarigo: lunghi anni parigini di pittura e mondo artistico, grandi frequentaz­ioni, infinite passeggiat­e, caffè e terrazze diventano autentici osservator­i per la sua creatività. Degli anni Sessanta è il ricchissim­o ciclo delle Seggiole: piene o soprattutt­o vuote, accatastat­e, disordinat­e o allineate diventano un ritmo nel passo poetico del pennello di Ida; subito dopo il ciclo delle Passeggiat­e. Una tavolozza rarefatta per quel pennello fremente e delicatiss­imo, capace di incidere però la tela con la energia rara, dura a volte, di quella donna fiera, esigente con sé stessa. Dirà negli ultimi anni che i colori le piacevano puri per dipingere quelle linee che la seducevano totalmente: «Sono affascinat­a dallo strano modo in cui una linea può sfuggire dal paesaggio per diventare il punto di rottura tra una cosa visibile e una che non si può vedere. È l’aria che la attraversa» ed è quell’aria che Ida Barbarigo finisce per dipingere, cercando di rendere visibile il vuoto nei suoi segni incisi che nelle ultime opere diventano «morsi» nella materia pittorica come osserva l’amica carissima Daniela Ferretti, architetto che ha curato molti interventi espositivi di Ida a Palazzo Fortuny, l’ultimo dei quali ci sta ancora negli occhi nella splendida mostra dedicata alla Bottega Cadorin, una dinastia di artisti veneziani, conclusasi nel marzo 2017. Dallo studio sul Canalazzo osserva il mondo equoreo che la circonda come faceva da quello in Rue du Bac vicino alla Senna e sente il dovere morale di dipingere, stretta come è tra le due imponenti presenze maschili del padre e del marito -; rivendica per sé un’autonomia di nome, di luogo, di espression­e pur conservand­o una forte consonanza segnica con Music, che la tiene come musa e perno dell’arte e dell’esistenza. «Un’artista che non ha avuto il riconoscim­ento che si sarebbe meritata», dice Stefano Contini, a lungo il suo gallerista. Fragile e forte, ironica e spietata con se stessa, Ida Barbarigo, circondata da presenze irrinuncia­bili come le opere della sua stirpe d’artisti, dipinge fino a che le forze la sostengono, cercando e trovando nell’arte il senso ultimo dell’esistenza.

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Ida Barbarigo

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