Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Così Bpvi lucrò sugli investimenti fatti dal boss»
Mion: «Non c’entro. L’indagine è un atto dovuto»
Mutui, prestiti personali, acquisto di azioni. Tutte operazioni compiute nella filiale di Vigonza dal presunto boss Antonio Bertucca che, per l’accusa, consentirono a Bpvi di lucrare su quel cliente poi finito in manette.
«È un atto dovuto. Ovviamente non c’entro niente con le azioni commesse dai dipendenti e che riguardano la banca: nel periodo in cui sono avvenuti non ero nemmeno ancora in Bpvi». Si dice tranquillo, l’ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Mion, finito nelle maglie dell’inchiesta per il riciclaggio che sarebbe stato commesso dal direttore di una filiale.
Il provvedimento è stato notificato a lui come alla liquidazione di Bpvi, in qualità di referenti della banca. E che l’iscrizione nel registro degli indagati di Mion sia un «atto dovuto», lo confermano anche fonti della procura. Ma resta il fatto che qualcosa, all’epoca, non funzionò nel sistema di autocontrollo della Popolare, al punto da consentire agli inquirenti (che hanno eseguito 16 arresti) di ottenere il sequestro alla banca di 187mila euro.
Secondo l’accusa, il direttore della filiale di Vigonza finito ai domiciliari, Federico Zambrini, e il suo collaboratore Roberto Longone avrebbero «operato anche nell’interesse dello stesso istituto da cui dipendevano - scriva il gip - dato che in tal modo hanno fidelizzato i clienti, consentendo alla banca di lucrare su commissioni, depositi, altresì scongiurando il rischio che Bartucca (Antonio, il capo dell’organizzazione, ndr) chiedesse un risarcimento dopo che apprese dell’azzeramento del valore delle azioni fattegli acquistare per accedere a dei finanziamenti». Perché pare impossibile ma perfino un (sospetto) criminale come Bartucca compare nell’elenco dei soci gabbati da Bpvi: Zambrini gli fece acquistare 66mila euro di azioni. Eppure continuò ad affidargli i propri soldi, consentendo «soprattutto dei diretti vantaggi economici per la stessa banca - prosegue il gip in favore della quale Zambrini riuscì a vendere al Bartucca molteplici prodotti finanziari: polizze assicurative, titoli obbligazionari, prestiti, mutui... Tutti strumenti di grande redditività per il solo istituto di credito». Insomma, anche per questo motivo il boss veniva trattato come «cliente privilegiato al quale sono state consentite transazioni con denari di provenienza delittuosa».
Ora la procura bussa alla porta della banca perché già nel 2013 l’Audit (l’organo di autocontrollo) vide qualcosa di anomalo nei conti, al punto da invitare il responsabile di filiale a «ricondurre nell’alveo della legalità» le operazioni. Ma nonostante le avvisaglie, «fino al 10 marzo 2016 non risulta alcuna attività di ispezione e vigilanza da parte dell’Audit» e neppure «alcuna segnalazione di Bartucca a opera (...) dei superiori organismi dell’istituto». Anche questo, per l’accusa, contribuisce a dimostrare «l’assoluta mancanza di strumenti di vigilanza e di protocolli per la efficace prevenzione della commissione di delitti a mezzo banca».