Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Gemmo lo aveva licenziato ingiustamente dieci anni fa Risarcito con 128 mila euro
Tre gradi di giudizio hanno sancito l’obbligo per il colosso vicentino di risarcire il dipendente Processo infinito
E’ durata quasi dieci anni la causa di lavoro che ha visto disputarsi in primo, secondo e terzo grado, le ragioni di un licenziamento fatto dalla Gemmo spa, colosso dell’impiantistica e della meccanica di Arcugnano, ai danni di un suo dipendente, un operaio straniero lasciato a casa senza giusta causa. Nei giorni scorsi è giunta la Cassazione a mettere la parola fine alle controversie giudiziarie, dando definitivamente ragione all’operaio e condannando la Gemmo a risarcire l’ex dipendente con circa 128mila euro, a versare le spese legali sostenute dallo straniero, nonché applicando anche una sanzione prevista dalla legge di stabilità del 2013 che impone all’azienda di versare un contributo di spesa ulteriore.
Con una sentenza depositata il 7 gennaio del 2016 la Corte d’Appello di Venezia, riformando in parte la sentenza di primo grado del tribunale di Vicenza, aveva condannato la Gemmo spa a pagare l’ex operaio Nediljko Beslic la somma di 127 mila 901 euro e cinque centesimi a titolo del risarcisuo mento del danno ex articolo 18 della legge 300 del 1970 (testo antecedente la riforma Fornero), in quanto l’operaio era stato licenziato senza giusta causa. La Gemmo ha impugnato il provvedimento portando all’attenzione della Corte alcune motivazioni che sarebbero state interpretate erroneamente dai giudici di merito (primo e secondo grado). In primo luogo la Gemmo dimostra nella sua memoria che l’operaio licenziato non si sarebbe dato abbastanza da fare per trovare una nuova occupazione subito dopo la fine dell’impiego. Essendo il risarcimento del danno proporzionato al mancato guadagno nei mesi successivi alla dismissione del rapporto di lavoro, è chiaro che più guadagna l’operaio meno deve sborsare chi l’ha licenziato. Ebbene la Gemmo rileva, a dire, che avendo l’operaio guadagnato solo 6000 euro nel 2010 ciò dimostrerebbe che Beslic non si sarebbe abbastanza impegnato a cercare un nuovo lavoro e parla esplicitamente, riferisce la Cassazione nel dispositivo, di «carenza di diligenza» nel reperimento di un altro posto di lavoro.
A questo proposito la Suprema Corte, nel considerare il rilievo, dice in sostanza che è vero che il risarcimento si conteggia considerando la perdita dello stipendio dell’operaio, ma è vero anche che trovare un altro posto di lavoro non riduce il danno che lo stesso operaio ha subito nel perdere la precedente occupazione. La Corte di Cassazione non ravvisa alcun vizio nella sentenza impugnata, ovvero non trova alcun errore nell’interpretazione e applicazione delle norme da parte dei giudici di secondo grado, tanto che gli stessi giudici di terzo grado rilevano quanto trovato anche dall’Appello, ossia che il lavoratore si era impegnato da subito a cercare un’altra occupazione, inoltre i giudici avevano tenuto conto dell’andamento del mercato del lavoro, in quel periodo non particolarmente florido.
In via definitiva, quindi, per la Cassazione i rilievi della Gemmo sono inammissibili e infondati, ecco perché i giudici hanno condannato la ditta di Arcugnano al pagamento delle spese legali dell’operaio, difeso dal legale Franco Focareta, e al risarcimento aggiuntivo previsto dalla legge di stabilità.