Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La Giornata della Memoria fra le pietre d’inciampo

Oggi si ricorda lo sterminio degli ebrei da parte del nazifascis­mo. A Venezia il percorso tracciato dalle tavolette di ottone collocate davanti alle abitazioni dei deportati. Dai 21 anziani portati via dalla casa di riposo al ricordo di Aldo Levi

- di Fabio Bozzato

Quasi non si vedono, confuse tra i masegni, non fosse per il luccichio dell’ottone che fa inciampare l’occhio. Si incontrano di fronte a una casa, a un portone, spesso sperdute in qualche calle anonima. Bisogna piegare il capo per leggere: un nome, la data della nascita e quella dell’arresto, il luogo e il giorno (quando si sa) dell’assassinio. E già solo quel gesto di inchinarci, ci fa onorare il nome della vittima. Allora capiamo di essere di fronte a un grumo di lesa umanità.

Oggi è la Giornata della Memoria. In tutta Europa si commemoran­o le vittime della stagione nazi-fascista, il popolo ebraico prima di tutto. La memoria ha bisogno di gesti piccoli e intimi. E’ quello che ha pensato Gunter Demnig, tedesco, artista di profession­e, quando a Colonia nel 1995 ha posato la prima delle sue Stolperste­ine, le pietra d’inciampo in onore di chi è finito deportato nei campi di sterminio. Da allora ne ha realizzate e collocate 63 mila davanti alle case di 21 paesi europei.

A Venezia è stato chiamato nel 2014 dalla Comunità Ebraica, dall’Istituto per la storia della Resistenza (Iveser) e dal Centro culturale tedesco: le ultime 17 pietre sono di qualche giorno fa. In tutto se ne contano 73 in giro per la città. «E continuere­mo a farlo ogni anno – racconta Marco Borghi, che dirige l’Iveser e coordina l’iniziativa – Per onorare i 246 ebrei veneziani mandati a morte e i quasi 300 che hanno condiviso lo stesso destino per le loro opinioni politiche o perché militari che si sono sottratti al fascismo».

Il prossimo anno, ad esempio, è prevista una pietra in memoria di Giovanni Gervasoni, antifascis­ta e di fede valdese. La prima, posata quattro anni fa, portava invece il nome di Bartolomeo Meloni, classe 1900, dirigente delle FS:

«fu tra i primi a organizzar­e una forma di resistenza ai nazisti sabotando i convogli in transito alla stazione lagunare». Si può inciampare sulla sua pietra non lontano da Campo Santi Apostoli.

Con Borghi seguiamo le tracce delle pietre. «Qui abitava»: è la prima frase incisa sull’ottone di 10 x 10 cm. Qui ad esempio abitava Amalia Navarro, al civico 1215 di Calle dell’Orto, infilata a fianco del Ghetto. Amalia Navarro aveva 27 anni quando è stata prelevata il 5 maggio 1944 assieme alla madre Giuditta Aboaf e ai fratelli Achille e Lina. Separate dalla madre, Amalia e Lina passarono da un lager a un altro fino a Theresiens­tadt. All’arrivo dell’Armata Rossa erano ancora vive. Tra i pochissimi ebrei veneziani a far ritorno a casa.

Quando il male si fa ancora più codardo può portarsi via 21 anziani, come successe il 17 agosto 1944 alla Casa israelitic­a di riposo. «Chi non poteva camminare, veniva trasportat­o in carriola». Caricati sui vagoni, prima raggiunser­o la Risiera di San Sabba, poi ingoiati a Auschwitz. Di fronte al portone della Casa, in Campo del Ghetto, c’è la loro pietra e a fianco, da quest’anno, quella per Edoardo Bassani. Arrestato il 5 dicembre del 1943 fu assassinat­o dopo poco nel lager polacco. «La sua pietra è stata donata da una famiglia tedesca, i Kloeren: volevano dare il proprio contributo alla memoria», continua Borghi. Che aggiunge: «Attorno alle pietre si muovono gesti di sconosciut­i, oltre che l’affetto di vi- cini e discendent­i delle vittime».

Renato Guerriero, ad esempio, aveva dieci anni e si ricorda bene l’arresto di Aldo Levi. Abitavano nella stessa casa, in Calle Priuli, a due passi dalla Stazione. Guerriero se lo ricorda ancora: «un bon omo», quel Levi. Per la posa della pietra d’inciampo ha letto una poesia scritta di suo pugno, facendo commuovere tutti.

Giuseppe Polacco invece se n’è accorto in Facebook che tra i nomi c’era anche quello di Anna Bassani. Ha sgranato gli occhi. Allora ha preso il primo treno da Roma, dove vive, e si è precipitat­o a Venezia in Fondamenta delle Capuzine, al civico 5373. «Era molto emozionato – ricorda Borghi - Quando gli ho chiesto se la conoscesse, mi ha risposto: era mia nonna».

Ogni pietra d’inciampo ha una storia simile, un moto di rivolta gentile alla disumanità. Anche per questo il progetto ha così tanto successo. In tutto il Veneto, le pietre hanno cominciare a comparire anche sui selciati di altre città e paesi: 19 ne sono state collocate a Padova, 2 a Mirano, 6 a Costa di Rovigo, 2 a Bovolenta nel padovano. «In molti si erano rifugiati nell’entroterra, ma le delazioni per soldi sono state spietate». Allora andiamo a Castello, al civico 6039: Costante Vivante viveva qui, ma è stato sorpreso con le sorelle Alba, Anna e Ida a Mogliano Veneto, nel trevigiano. Nessuno sopravviss­e ad Auschwitz.

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Storie Marco Borghi e le pietre d’inciampo (Vision) A destra, il Ghetto dopo la Liberazion­e
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