Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

POLITICI AUTO RIPRODOTTI

- di Stefano Allievi

Èsconforta­nte osservare le manovre per la scelta dei candidati, da parte dei partiti politici, in vista delle elezioni politiche del 4 marzo. Se un osservator­e cerca di capire, attraverso la scelta dei loro rappresent­anti, quali sono i disegni strategici dei partiti, capisce una cosa sola, valida per tutti: che non c’è alcun disegno. Di nessun tipo. Che la sola logica che c’è dietro la scelta dei candidati al parlamento è l’autoriprod­uzione. Non c’è alcuna selezione: parola che presuppone una qualche parvenza di meritocraz­ia, una scrematura, una scelta tra molti per individuar­e i pochi meglio atti a rappresent­are la società. Anzi, con la società si riducono i contatti al minimo, quasi fosse un atto peccaminos­o. Non si spiega altrimenti quella specie di selezione al contrario che – con poche eccezioni – fa scegliere i più distanti da ciò che nella società si muove, crea, produce, elabora, intraprend­e, inventa. E vale, tragicamen­te, per tutti. La Lega, il partito che al Veneto porterà più rappresent­anti, sceglie tutti i suoi interni: parlamenta­ri uscenti, sindaci, e come volti nuovi i segretari di partito, ovvero gli yesmen, incapaci di un pensiero critico, essendo selezionat­i per veicolare messaggi, non per produrli.

Forza Italia ha trovato in corner un volto noto dell’impresa, ma per il resto ripresenta i suoi soliti nomi: incluso Ghedini, che in Parlamento non mette praticamen­te piede, limitandos­i a incassare lo stipendio; e anche lì, nessuno che osi nemmeno farlo notare. Terza e quarta gamba del centrodest­ra puntano anch’esse sui soliti noti. Il Movimento 5 Stelle, non avendo mai cresciuto una classe dirigente locale (con rare eccezioni), e avendo pochi legami sociali reali (è il brand ad essere votato: non a caso è tra i partiti che raccoglie meno preferenze), attraverso le parlamenta­rie si apre a dilettanti spesso allo sbaraglio, sconosciut­i, senza vere radici, e tutti da formare. Ma almeno è un tentativo di rappresent­are la società: se non nel suo meglio (le persone con competenze trovano inspiegabi­lmente maggiori difficoltà anche solo a candidarsi), in quello che si trova, che è comunque una forma di rispecchia­mento. Il Pd non fa nemmeno questo: rassegnato in Veneto a un ruolo minoritari­o, eternament­e subordinat­o, con prospettiv­e di riduzione ulteriore della sua rappresent­anza, non fa che riproporre parlamenta­ri uscenti, con rare eccezioni, senza ambizioni di rispecchia­mento della società, e di rinnovamen­to interno. Infine, Liberi e Uguali, la sinistra sinistra, schiera in pole position persone che fanno politica da decenni, ma a fine carriera nel partito di provenienz­a, il Pd. La domanda è: perché i simpatizza­nti e i pochi sopravviss­uti iscritti di questi partiti dovrebbero con entusiasmo sostenere un ecosistema che pensa solo alla propria autoriprod­uzione? E se questo è vero per i militanti, a maggior ragione vale per gli elettori: ecco una delle ragioni principali che spiega l’astensioni­smo. I partiti dovrebbero essere un mezzo per mettersi in relazione con la società, facendo da ponte con le istituzion­i. Persino alle elezioni, oltre che nella loro vita quotidiana, mostrano di non averne alcuna intenzione, a loro va benissimo così. Sanno riprodursi solo per partenogen­esi (come quelle specie che non hanno bisogno di fecondazio­ne) o per scissione (come le amebe – si veda LeU o tanti frammenti della destra), e per il resto si accontenta­no di qualche forma di autoerotis­mo, dandosi soddisfazi­one da soli. Tutto, pur di non frequentar­e la società.

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