Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I profughi leggono le fiabe dei loro paesi ai bambini
Fosse stato intenzionale TREVISO sarebbe stato quasi retorico e un filino kitsch. Ma siccome la combinazione è venuta in modo assolutamente casuale, è stato bello vedere che accanto al rifugiato del Gambia di 20 anni alto un metro e novanta che raccontava una fiaba, ieri, in una biblioteca di Treviso, si è accovacciato il bambino più esile e biondo di tutti, anello iniziale di una piccola catena circolare attorno al lettore e composta di una ventina di piccoli, dai quattro ai sette anni.
Sono cominciate così le «Letture sotto il baobab», un ciclo di incontri fra ragazzi africani richiedenti asilo che leggono favole, novelle e leggende popolari dei paesi natali ai loro giovanissimi e magari provvisori concittadini veneti, organizzato dalla cooperativa «Hilal».
La fiaba di ieri, per la verità, è stata piuttosto ruvida. Anche in Africa i protagonisti sono quasi sempre gli animali ed è abbastanza comprensibile se, al posto di gatti, volpi o scoiattoli in questa ci fosse un grosso serpente. Meno semplice immaginare cone la magnifica e delicata figlia di un re possa confondersi e sceglierlo per sposo quando questo, ricevuta in prestito la splendida pelle di un baobab, la raggira apparendo bellissimo. Salvo rivelarsi, a nozze avvenute, per quello che è, così alla vanitosa consorte non rimane che lamentarsi con un canto struggente per tutta la vita perché un matrimonio non si scioglie.
In Gambia dev’essere ancora così. Se anche da noi, però, Cappuccetto Rosso non riconosce il lupo sotto le vesti della nonna, nel frattempo ingoiata intera dal lupo stesso, è evidente che ciò che si può raccontare in una fiaba non ha limiti in tutto il mondo. Darà un qualcosina in più su cui riflettere la prossima storia che un ragazzo senegalese leggerà ai piccoli trevigiani il 26 febbraio.
Padre, figlio ed un asino attraverseranno quattro città ricevendo immancabli critiche per qualsiasi formula di spostamento scelgano. Sia che sul dorso ci sia il padre e il figlio proceda a piedi, sia il contrario, sia se sono entrambi in groppa ad affaticare la povera bestia, sia se procedono entrambi a piedi senza sfruttare l’asino. Morale universale è che su come i forestieri facciano le cose c’è sempre qualcosa da dire.
Oppure quella successiva, che arriva del Burkina Faso: un gruppo di animali si organizza per far credere al leone, che impedisce loro di abbeverarsi al fiume, l’arrivo imminente di una fortissima tempesta.
Gli elefanti soffiano, il leone ha paura di essere portato via dalla bufera e si fa legare ad un albero. Così gli altri bevono e la fiera paga le conseguenze di una sottovalutazione.
La differenza che c’è fra le fiabe europee e quelle africane, tuttavia, fanno notare i volontari che seguono il progetto, sta a volte nel finale. Sempre lieto per noi, nonostante il dipanarsi delle storie fra luoghi e personaggi spaventosi e orrendi, a volte amaro e irreparabile per gli africani.
Tutto questo anche se ciò che ha impressionato di più dei racconti di Abubakarr, il lettore di ieri – per inciso maturità scientifica e sei lingue conosciute – riguarda l’esistenza nel suo paese di un coccodrillo che puoi accarezzare senza paura, con la conferma di una foto che ha fatto guadagnare al giovane un’attenzione silente e rapita. In Gambia c’è un lago specialissimo in cui vivono dei coccodrilli albini, anch’essi fiabeschi però veri, che si lasciano grattare la schiena da chiunque, senza reagire.
Molto più pericolosi gli ippopotami, incattiviti dai troppi cacciatori e diventati più aggressivi dei leoni che lì forse nemmeno ci sono più: «Ho una domanda perfetta» se n’è uscito alla fine un bambino ad Abubakarr: «Ma quanto grande è la cacca del coccodrillo?»