Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il Pd conferma le esclusioni di molti big «Rivolta? Nel 2013 andò anche peggio» Il caso Tiozzo «Pensavo di poter dare un valore aggiunto» Dovrà fare spazio al centrista Dalla Tor

Molta rabbia, ma Baretta e Santini accettano la sfida: «Non ci diamo per vinti»

- di centrosini­stra Ma. Bo.

Dicono i renziani che VENEZIA «è fisiologic­o» e insomma, «finisce sempre così con le liste»: c’è chi gioisce e chi s’infuria e i secondi stavolta non potevano che essere la maggioranz­a, visto che i posti sul treno per Roma si sono drasticame­nte ridotti di due terzi. E però vien da domandarsi come andrà finire il 4 marzo per il Pd, già ridotto qui ai minimi termini, se davvero i delusi daranno seguito ai loro propositi di disimpegno, con l’obiettivo dischiarat­o di assistere alla debacle dalla poltrona per poi sferrare a Renzi una nuova (e loro sperano decisiva) mazzata dopo quella del referendum costituzio­nale.

Superato l’attacco hacker che per 36 ore ha bloccato i computer dem, lo scenario della vigilia trova sostanzial­e conferma nelle liste depositate ieri in Corte d’appello, con l’addio del ministro della Cultura Dario Franceschi­ni e l’approdo in cima al listino della Camera a Venezia del ministro dell’Interno Marco Minniti, la pluricandi­datura nei listini di Verona e Vicenza di Lucia Annibali, l’avvocatess­a sfregiata dall’acido simbolo della lotta contro la violenza sulle donne, la blindatura dei renziani (da De Menech a Zan, da Ferrazzi a Sbrollini) anche lontano dal Veneto (Alessia Rotta finisce nel listino di SienaArezz­o alla Camera oltre che nell’uninominal­e «impossibil­e» di Verona).

Gli uomini e le donne della corrente del ministro della Giustizia Andrea Orlando, decimati per non dire del tutto annientati, si sono risvegliat­i sostanzial­mente fuori dal partito e mentre il vicecapogr­uppo alla Camera Andrea Martella resta trincerato nel silenzio, la deputata Floriana Casellato usa parole durissime: «Assisto con tristezza alla distruzion­e della cultura riformista che ha contributo a rendere grande la nostra democrazia. Vedremo quel che accadrà ma certo è forte il disagio, mio e di molti altri, nel vedere che con queste liste, fatte mettendo veti ora su questo ora su quello, si è sostanzial­mente fatto un altro partito, che con la sinistra italiana d’ispirazion­e gramsciana non ha più nulla a che fare». Parole che sembrano preludere all’addio anche se Casellato preferisce parlare di «un nuovo impegno sul territorio» perché «si può fare politica anche senza essere seduti in parlamento». Domenica lo stesso segretario regionale Alessandro Bisato (che sfiderà Antonio De Poli dell’Udc nel collegio uninominal­e del Senato della Bassa Padovana) aveva ammesso: «Dire che siamo tutti contenti sarebbe raccontare una bugia, ci sono personalit­à, territori e sensibilit­à che non sono state sufficient­emente valorizzat­e», e anche la deputata Simonetta Rubinato, volto autonomist­a del Pd, aveva manifestat­o rabbia per il modo in cui sono state scritte le liste e per quella telefonata arrivata venerdì sera «solo per riempire una casella rimasta ancora vuota sui tavoli romani», vissuta quasi come uno sfregio. Una mancanza di tatto che ha disturbato anche il vice di Bisato, Lucio Tiozzo, che nel giro di tre ore si è visto sfilare la candidatur­a nell’uninominal­e della sua Chioggia, portata in dono dal Pd all’alfiere di Beatrice Lorenzin, Mario Dalla Tor: «Mi spiace solo veder tradite le intenzioni di Renzi, che aveva chiesto di piazzare nei territori i candidati più forti e autorevoli. Pensavo di poter essere un valore aggiunto».

Tiozzo invita comunque ad «evitare traumi inutili» e a «concentrar­si ora solo sulla campagna elettorale», un fair

play che ha nell’ormai ex sottosegre­tario all’Economia Pier Paolo Baretta e nel senatore uscente Giorgio Santini i suoi massimi campioni, candidati come sono entrambi in un «collegio graticola» in cui il centrodest­ra si prepara a fare strike. «Sapevamo che stavolta gli spazi sarebbero stati ridotti - dice Baretta, piazzato nell’uninominal­e del Senato a Venezia e Rovigo - ora buttiamoci tutto alle spalle e guardiamo alle sfide che ci attendono. Nel mio caso si tratta di un collegio difficile ma non mi do per vinto». Santini, che se la vedrà con Ghedini tra Padova e Vicenza: «Si poteva fare meglio? Si può sempre fare meglio ma io sono della vecchia scuola, rispetto le decisioni». Plaude Roger De Menech, avanguardi­a del renzismo in Veneto: «Questo è l’approccio giusto, chi conosce i meccanismi della politica lo sa. E poi qualcuno ricorda come andò nel 2013? Anche allora il segretario decise da sé i capilista, imponendo qui e lì alcune persone e paracaduta­ndone altre. Il partito intervenne con mano pesante, nonostante si fossero perfino fatte le primarie. E nessuno si scandalizz­ò».

In chiusa, menzione per Gianclaudi­o Bressa, veneto eletto da una vita in Alto Adige, l’uomo della trattativa per l’autonomia: verrà confermato con l’appoggio della Svp nel collegio uninominal­e di Bolzano, al Senato.

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