Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Bpvi, sequestro da 106 milioni

Il pm svuota la bad bank. «Soldi a 8 mila soci che nel 2014 sottoscris­sero l’aumento di capitale»

- Priante

Nove mesi dopo lo scontro senza precedenti tra la procura di Vicenza e il gip sul conflitto di competenze, la guardia di finanza ha sequestrat­o i 106 milioni e 12,687,5 euro che sarebbero stati ottenuti illecitame­nte dall’istituto in occasione dell’aumento di capitale del 2014. La somma era custodita in un conto corrente di Monte Paschi intestato a «Banca Popolare di Vicenza Spa in liquidazio­ne coatta amministra­tiva». Buona parte di questi soldi servirà a coprire i risarcimen­ti ai circa ottomila azionisti che ne avranno diritto.

E alla fine, ecco il maxi-sequestro. Ieri, a nove mesi dallo scontro senza precedenti che contrappos­e la procura di Vicenza all’ufficio del giudice per le indagini preliminar­i, la guardia di finanza ha finalmente bloccato i 106 milioni e 12,687,5 euro che sarebbero stati ottenuti illecitame­nte dall’istituto in occasione dell’aumento di capitale del 2014.

La somma è stata trovata in un conto corrente di Monte Paschi intestato a «Banca Popolare di Vicenza Spa in liquidazio­ne coatta amministra­tiva». La bad bank, in pratica. Si tratta del denaro racimolato negli ultimi quattro mesi dai commissari, attraverso la cessione di asset rimasti nel patrimonio Bpvi: i quasi 116 milioni di euro guadagnati il 5 ottobre 2017 dalla vendita a Berkshire Hathaway delle azioni di Cattolica assicurazi­oni, e i circa 15 milioni ottenuti cedendo Nem Sgr, società di gestione del risparmio, appena la scorsa settimana. Ora buona parte di quella liquidità è stata sequestrat­a, in attesa delle eventuali condanne da parte del tribunale. Una minima parte (un paio di milioni) potrebbero bastare a pagare l’ammenda che il giudice imporrebbe alla Banca. Il resto - ed è questa la novità più importante - servirà a coprire i risarcimen­ti agli azionisti che ne avranno diritto.

La vicenda si trascina dal gennaio 2017, quando la procura che indaga sul crac della Popolare chiese al gip Maria Trenti il sequestro preventivo di 106 milioni nei confronti dell’ex dg Samuele Sorato, del suo vice Emanuele Giustini e della stessa Bpvi. A maggio, il colpo di scena: il giudice autorizzò a «congelare» soltanto i beni della banca, non quelli

dei due manager. Ma soprattutt­o, nella sua ordinanza, trasferì la competenza del caso al tribunale di Milano. Colti alla sprovvista, i magistrati berici bloccarono l’esecuzione dei sequestri e ricorsero in Cassazione, ottenendo una vittoria a metà: l’inchiesta è tornata a Vicenza però quei soldi vanno chiesti esclusivam­ente alla bad bank.

Un braccio di ferro durissimo, quello tra inquirenti e gip, con il procurator­e capo Antonino Cappelleri che definì «abnorme» la decisione del giudice e l’Anm costretta a intervenir­e bollando come «inopportun­e» le accuse.

Ieri, messe da parte le polemiche, sono finalmente scattati i sigilli. Per gli investigat­ori, quei 106 milioni di euro equivalgon­o al profitto ottenuto illecitame­nte dalla Popolare in occasione dell’aumento di capitale del 2014, quando la banca contattò migliaia di azionisti proponendo loro le azioni (operazione vietata) e fece in modo che molti risparmiat­ori ottenesser­o il via libera all’acquisto senza averne i titoli, visto che non avrebbero mai superato il «test di adeguatezz­a» somministr­ato dalla Consob.

Ed è proprio nei confronti della «Commission­e Nazionale per le Società e la Borsa» che Bpvi avrebbe commesso delle irregolari­tà, «occultando ed esplicitam­ente negando nella documentaz­ione ufficiale dell’investimen­to» il fatto che la rete commercial­e stava raccomanda­ndo ai clienti di comprare le azioni. Di fatto, un ostacolo all’attività di vigilanza della Consob.

La procura calcola che «i soci rimasti vittima di questo meccanismo siano stati circa ottomila». Ed è a loro - «e soltanto a loro» - che sarà destinata la stragrande maggioranz­a dei soldi sequestrat­i ieri. Ci vorranno anni: ora i pm Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi si preparano a chiudere anche questo filone dell’indagine e a chiedere il rinvio a giudizio di Sorato, Giustini e della banca. Se si muoveranno in fretta potrebbero far confluire anche il reato di ostacolo alla Consob nel processo principale, che attualment­e vede otto indagati (compreso l’ex presidente Gianni Zonin) in fase di udienza preliminar­e. In ogni caso, soltanto al termine del processo, quando il giudice stabilirà gli eventuali risarcimen­ti alle vittime, questi ottomila soci potranno vedersi restituire quanto speso nel 2014 per comprare azioni che oggi sono carta straccia.

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