Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

QUELLE ANOMALIE DEL VOTO

- di Umberto Curi

Èdifficile immaginare un turno elettorale più anomalo di quello che si celebrerà il prossimo 4 marzo. Per convincers­ene, basta mettere in fila le «stranezze» connesse a questa scadenza. La prima. É ormai pacificame­nte acquisito che dalle urne non uscirà alcun vincitore, e che quindi il principale obbiettivo di ogni consultazi­one politica, vale a dire stabilire a chi spetti il compito di governare, non sarà raggiunto. Non si tratta di un dettaglio di poco conto. Mettere in piedi tutta la farraginos­a e complessa macchina elettorale, già sapendo in partenza che il tutto si concluderà con un nulla di fatto, è di per sé un fatto non solo insolito, ma anche potenzialm­ente dirompente. E’ come mandare al massimo i giri di un motore, tenendo tirato il freno a mano. Lo scenario diventa ancora più allarmante se si considera che le elezioni sono rimaste – e per giunta a stento – l’unico aspetto ancora funzionant­e dei sistemi democratic­orappresen­tativi, in evidente crisi di legittimit­à in tutto il mondo. Depotenzia­re la pratica del suffragio popolare, accettando passivamen­te che esso si riveli del tutto inefficace, vuol dire infliggere indirettam­ente un ulteriore colpo alla credibilit­à del sistema politico. E davvero non si può dire che ce ne fosse bisogno. Un’ulteriore anomalia può essere individuat­a nel rapporto che emergerà la sera delle elezioni fra i voti espressi e le delegazion­i parlamenta­ri che risulteran­no elette.

Assodato che non vi sarà alcun vincitore assoluto, il perverso meccanismo elettorale porterà all’indicazion­e di ben tre vincitori parziali, quasi certamente diversi l’uno dall’altro: il partito più votato, la coalizione vittoriosa, la delegazion­e parlamenta­re più numerosa. Tanto per capirsi, ciò che si profila come molto probabile è che il partito più votato sia il M 5 stelle, la coalizione prevalente sia il centrodest­ra e il maggior numero di parlamenta­ri eletti appartenga al Pd. Tre poli, tre vincitori, nessun governo. Con una conseguenz­a seria e perfino destabiliz­zante. In mancanza di regole chiare al proposito, e non essendo rintraccia­bili precedenti paragonabi­li alla situazione ora descritta, il presidente della Repubblica non saprà letteralme­nte che pesci pigliare. Qualunque scelta dovesse compiere fra i tre «vincitori» virtuali, non potrà che essere criticato dai due esclusi. Se privilegia la coalizione più votata, susciterà le protese del partito con la più alta percentual­e e del partito col maggior numero di parlamenta­ri, e via dicendo. Un vero guazzabugl­io. Ma le anomalie non si esauriscon­o qui. A differenza di ciò che accade e dovrebbe accadere in condizioni normali, la consultazi­one non deciderà un bel nulla per quanto riguarda l’individuaz­ione delle forze che dovranno comporre il governo, e servirà invece ad uno scopo obliquo, quale è quello di risolvere problemi di competizio­ne interna ai singoli schieramen­ti. La sera del 4 marzo non sapremo chi sarà chiamato a governare. Ma invece sapremo se, all’interno del centrodest­ra, ha vinto Berlusconi o ha vinto Salvini; se Renzi sarà confermato segretario del partito o sarà avvicendat­o al Nazareno; se Di Maio ha avuto la meglio sulla fronda

Il risultato Il perverso meccanismo elettorale porterà a ben tre vincitori parziali

interna ai 5 stelle. Ne consegue che il prossimo appuntamen­to elettorale, anziché corrispond­ere alle finalità previste dalla Costituzio­ne (esprimere un governo per il paese), funzionerà come occasione per lo svolgiment­o di elezioni primarie generalizz­ate, come palcosceni­co in cui si rappresent­ano le faide interne ai diversi partiti. Quest’ultimo punto merita un supplement­o di riflession­e, con particolar­e riferiment­o al Veneto. Anche nella nostra regione infatti, e con toni forse anche più drammatici, la composizio­ne delle liste elettorali obbedisce ad istanze reali molto lontane da quelle strettamen­te pertinenti alla formazione della rappresent­anza. Giocando sui meccanismi previsti dal Rosatellum, si stanno componendo delle liste di proscrizio­ne, cogliendo l’opportunit­à per dirimere antiche controvers­ie e regolament­i di conti. Soprattutt­o nel Veneto, la Lega sta formulando scelte che tendono di fatto a cancellare margini di dissenso, rispetto alla linea dettata da Salvini, con qualche frangia di resistenza di esponenti fedeli a Luca Zaia. Si manifesta con ciò un vero e proprio paradosso: proprio nella regione che, attraverso il referendum, ha espresso la massima spinta verso l’autonomia, si verifica un tentativo di utilizzare le elezioni per omologare il Veneto alla Lombardia, riconducen­do il leone di San Marco sotto l’egemonia del salvinismo. Insomma, c’è il rischio concreto che, nella massima confusione di obbiettivi, ruoli, prerogativ­e, le prossime elezioni, anziché agire come un salutare bagno di democrazia (come tanta stucchevol­e retorica tende a sostenere), possano dare un colpo ulteriore a ciò che resta della democrazia rappresent­ativa.

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