Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
QUELLE ANOMALIE DEL VOTO
Èdifficile immaginare un turno elettorale più anomalo di quello che si celebrerà il prossimo 4 marzo. Per convincersene, basta mettere in fila le «stranezze» connesse a questa scadenza. La prima. É ormai pacificamente acquisito che dalle urne non uscirà alcun vincitore, e che quindi il principale obbiettivo di ogni consultazione politica, vale a dire stabilire a chi spetti il compito di governare, non sarà raggiunto. Non si tratta di un dettaglio di poco conto. Mettere in piedi tutta la farraginosa e complessa macchina elettorale, già sapendo in partenza che il tutto si concluderà con un nulla di fatto, è di per sé un fatto non solo insolito, ma anche potenzialmente dirompente. E’ come mandare al massimo i giri di un motore, tenendo tirato il freno a mano. Lo scenario diventa ancora più allarmante se si considera che le elezioni sono rimaste – e per giunta a stento – l’unico aspetto ancora funzionante dei sistemi democraticorappresentativi, in evidente crisi di legittimità in tutto il mondo. Depotenziare la pratica del suffragio popolare, accettando passivamente che esso si riveli del tutto inefficace, vuol dire infliggere indirettamente un ulteriore colpo alla credibilità del sistema politico. E davvero non si può dire che ce ne fosse bisogno. Un’ulteriore anomalia può essere individuata nel rapporto che emergerà la sera delle elezioni fra i voti espressi e le delegazioni parlamentari che risulteranno elette.
Assodato che non vi sarà alcun vincitore assoluto, il perverso meccanismo elettorale porterà all’indicazione di ben tre vincitori parziali, quasi certamente diversi l’uno dall’altro: il partito più votato, la coalizione vittoriosa, la delegazione parlamentare più numerosa. Tanto per capirsi, ciò che si profila come molto probabile è che il partito più votato sia il M 5 stelle, la coalizione prevalente sia il centrodestra e il maggior numero di parlamentari eletti appartenga al Pd. Tre poli, tre vincitori, nessun governo. Con una conseguenza seria e perfino destabilizzante. In mancanza di regole chiare al proposito, e non essendo rintracciabili precedenti paragonabili alla situazione ora descritta, il presidente della Repubblica non saprà letteralmente che pesci pigliare. Qualunque scelta dovesse compiere fra i tre «vincitori» virtuali, non potrà che essere criticato dai due esclusi. Se privilegia la coalizione più votata, susciterà le protese del partito con la più alta percentuale e del partito col maggior numero di parlamentari, e via dicendo. Un vero guazzabuglio. Ma le anomalie non si esauriscono qui. A differenza di ciò che accade e dovrebbe accadere in condizioni normali, la consultazione non deciderà un bel nulla per quanto riguarda l’individuazione delle forze che dovranno comporre il governo, e servirà invece ad uno scopo obliquo, quale è quello di risolvere problemi di competizione interna ai singoli schieramenti. La sera del 4 marzo non sapremo chi sarà chiamato a governare. Ma invece sapremo se, all’interno del centrodestra, ha vinto Berlusconi o ha vinto Salvini; se Renzi sarà confermato segretario del partito o sarà avvicendato al Nazareno; se Di Maio ha avuto la meglio sulla fronda
Il risultato Il perverso meccanismo elettorale porterà a ben tre vincitori parziali
interna ai 5 stelle. Ne consegue che il prossimo appuntamento elettorale, anziché corrispondere alle finalità previste dalla Costituzione (esprimere un governo per il paese), funzionerà come occasione per lo svolgimento di elezioni primarie generalizzate, come palcoscenico in cui si rappresentano le faide interne ai diversi partiti. Quest’ultimo punto merita un supplemento di riflessione, con particolare riferimento al Veneto. Anche nella nostra regione infatti, e con toni forse anche più drammatici, la composizione delle liste elettorali obbedisce ad istanze reali molto lontane da quelle strettamente pertinenti alla formazione della rappresentanza. Giocando sui meccanismi previsti dal Rosatellum, si stanno componendo delle liste di proscrizione, cogliendo l’opportunità per dirimere antiche controversie e regolamenti di conti. Soprattutto nel Veneto, la Lega sta formulando scelte che tendono di fatto a cancellare margini di dissenso, rispetto alla linea dettata da Salvini, con qualche frangia di resistenza di esponenti fedeli a Luca Zaia. Si manifesta con ciò un vero e proprio paradosso: proprio nella regione che, attraverso il referendum, ha espresso la massima spinta verso l’autonomia, si verifica un tentativo di utilizzare le elezioni per omologare il Veneto alla Lombardia, riconducendo il leone di San Marco sotto l’egemonia del salvinismo. Insomma, c’è il rischio concreto che, nella massima confusione di obbiettivi, ruoli, prerogative, le prossime elezioni, anziché agire come un salutare bagno di democrazia (come tanta stucchevole retorica tende a sostenere), possano dare un colpo ulteriore a ciò che resta della democrazia rappresentativa.