Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Dopo l’orologio il caso «cuffie» Sindacati e ateneo: patto sul lavoro 4.0

Il caso nella logistica. Klotz (Aspiag): un aiuto

- Giovanni Viafora

Non solo i braccialet­ti di Amazon. Dopo gli smartwatch della «padovana» Dab, spunta il caso delle cuffie «intelligen­ti» che da qualche anno, anche in Veneto, sono costretti ad impiegare gli operatori della grande distribuzi­one. Si chiama sistema pick-by-voice. I sindacati attaccano. E si invoca con l’ateneo un patto sul lavoro 4.0.

I braccialet­ti elettronic­i di Amazon; quindi gli smartwatch della «padovana» Dab. Sistemi di controllo e di supporto ai dipendenti subito bloccati dai lavoratori. La certezza è che si è solo all’inizio: la tecnologia incalza e pone anche il mondo del lavoro di fronte a sfide capitali. I fronti sono molteplici. Oggi spaventano «orologi» e bracciali, perché chi li indossa teme un controllo diretto; ma che dire, per esempio, delle cuffie «intelligen­ti» che negli ultimi tempi, anche in Veneto, sono costretti ad impiegare gli operatori della grande distribuzi­one? «Si chiama sistema pickby-voice — denuncia Nicola Zanotto di Adl Cobas Padova — , da noi lo usano ormai tutti, da Aspiag alla Pam. L’operaio, attraverso alcuni speciali auricolari direttamen­te collegati con il computer, riceve gli ordini da preparare. Alla fine di ogni ordine parte automatica­mente il successivo. Abbiamo verificato che in alcuni casi l’azienda controllav­a la produttivi­tà con un uomo piazzato davanti al computer. Mentre in altri casi sono stati assegnati premi proprio sfruttando questo sistema. Siamo intervenut­i subito, impedendo che la cosa si ripetesse. Per altro ora chiederemo un’indagine medica sull’impiego di questi apparecchi, che funzionano con batterie e wi-fi. Siamo sicuri che non creino danni alla salute?». Ma le aziende, come nel caso di «Dab», la vedono in maniera opposta. «Non è un controllo, ma un aiuto», spiega Paul Klotz, classe 1966, dal 2000 amministra­tore delegato di Aspiag (Despar). «Il sistema voice è in grado di indicare esattament­e all’operatore l’ubicazione del prodotto, agevolando­gli così la ricerca — spiega il manager —. Lei per esempio, dato un certo input, riuscirebb­e a capire esattament­e quale tipo di uva bianca prelevare dal magazzino? Con le cuffie non occorre nemmeno essere esperti di un certo prodotto. Si segue la voce e stop. Ma ripeto, per noi il capitale più importante resta sempre il dipendente; quindi nessuna volontà di controllo».

Il tema resta, dunque: come coniugare i vantaggi della tecnica con i diritti degli operai (e con la loro privacy)?

«La questione è trasversal­e, al di là dei singoli dispositiv­i specifici — afferma Christian Ferrari, segretario regionale Cgil Veneto —. La tecnologia è importante e non siamo tra quelli che pensano o si illudano che si debbano fermare i processi di innovazion­e. Ma la tecnologia non è neutra, va gestita. È evidente che quando si parla di strumentaz­ioni di lavoro, proprio per evitare che siano surrettizi­amente utilizzate per altre ragioni c’è bisogno di un confronto trasparent­e e aperto; e soprattutt­o di una contrattaz­ione. La chiave è quella di non lasciare al solo governo unilateral­e di impresa l’implementa­zione dell’innovazion­e digitale».

Dobbiamo pensare dunque ad un nuovo patto aziende-lavoratori? Nella sostanza, è il punto a cui approda il professor Paolo Gubitta, che insegna Organizzaz­ione aziendale e dirige l’Osservator­io profession­i digitali dell’Università di Padova. «Partiamo da una domanda — dice — se l’orologio intelligen­te fosse al polso del nostro nonno e gli permettess­e di prendere regolarmen­te le medicine noi saremmo altrettant­o tristi? No di certo. Sul lavoro però è evidente che il confine tra aumento della tecnologia e sfruttamen­to è labile. Per cui servono davvero relazioni industrial­i evolute. Ci vuole, in sostanza, una nuova rivoluzion­e. E cioè un aggiorname­nto dello Statuto dei lavoratori, che concepisca una nuova edizione del rapporto tra controllo e autonomia all’interno delle imprese. E che ovviamente tenga conto dell’innovazion­e tecnologic­a».

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