Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Si allarga la faida nei M5S Altri dissidenti ma l’uomo della chat resta al suo posto
Il responsabile comunicazione resta al suo posto Altre firme contro il «fango», possibili espulsioni
Faida nei M5S, dopo 17 «ribelli» che hanno attaccato il «metodo del fango», ieri anche un gruppo di pentastellati bellunesi ha inviato una nota sottolineando «la mancanza dei fondamentali strategici nella gestione delle crisi e la relativa comunicazione» e criticando il capogruppo in Regione Jacopo Berti. Intanto la consigliera regionale Patrizia Bertelle si chiama fuori.
«Tornare in fretta alla normalità». È questo l’ordine (la speranza?) dei vertici del Movimento Cinque Stelle, decisi a chiudere in fretta la vicenda dell’invito ai candidati a scovare «nefandezze» e «foto imbarazzanti» dei loro avversari, dopo quattro giorni di graticola. C’è una campagna elettorale lampo da organizzare ed è bene concentrarsi su quella, è il messaggio, ma la vicenda potrebbe non chiudersi qui, anche se la piega minacciata non è esattamente quella che qualcuno si attendeva. A finire nei guai, infatti, potrebbero essere i dissidenti che hanno reso pubblica la chat interna e quelli che l’hanno cavalcata su giornali e social, colpevoli di aver arrecato un danno enorme al Movimento in una fase delicata qual è la vigilia del voto. Post e chat sono sotto la lente e non sono esclusi provvedimenti in futuro, quando le acque si saranno calmate.
Ferdinando Garavello, il responsabile della comunicazione del M5s in Veneto, autore delle «Istruzioni importanti» al centro del caso, resterà invece al suo posto, nonostante le prese di distanza del leader Luigi Di Maio e dell’eurodeputato David Borrelli. Prese di distanza flebilissime, a onor del vero («Rispondiamo col silenzio a queste iniziative personali» ha detto il primo; «Questo campo non è il nostro» il secondo), ben lontane dalla perentoria richiesta di dimissioni partita sabato da 17 pentastellati contrari a «calunnie e provocazioni». D’altronde, fanno notare alcuni militanti di vecchio corso, quel che ha scritto Garavello («In modo sicuramente pessimo e maldestro») è nei contenuti perfettamente in linea con quel che si è sempre detto nel Movimento, anche in modo più rude, e con quel che ha fatto proprio Di Maio due giorni dopo, quando ha pubblicato sul Blog la lista degli «impresentabili» (imputati e condannati) degli altri partiti. Era forse per questo che nel messaggio incriminato - risalente al 31 gennaio - Garavello dava tempo solo fino alla sera stessa per scovare «tutto il peggio che si può tirar fuori»? Ci si riferiva agli «impresentabili» da comunicare allo Staff in tempo per la pubblicazione sul Blog?
Tant’è, i dissidenti non mollano la presa e dopo i 17 di sabato, ieri anche un gruppo di pentastellati bellunesi (Faustini, Masoch, Mellere, Messinese, Salvioni, Tessarolo, Tezza) ha inviato una nota sottolineando «la mancanza dei fondamentali strategici nella gestione delle crisi e la relativa comunicazione» e criticando il deputato Federico D’Incà e il capogruppo in Regione Jacopo Berti, colpevoli di aver difeso «il “metodo del fango” dicendo pressappoco che così fan tutti», una linea difensiva «lasciata al caso e alle “iniziative personali”». Non solo: a Padova si starebbe organizzando un combattivo gruppo che attorno allo slogan #AnnullateTutto chiede l’azzeramento delle Parlamentarie, anche tramite un ricorso legale. Cosa peraltro già chiesta, inutilmente, da alcuni attivisti che all’indomani della votazione su Rousseau si appellarono a Di Maio contestando il malfunzionamento del sistema e l’esclusione di molti candidati «ortodossi», lontani dalla linea «governista» che ha nello stesso Di Maio, oltre che in Borelli e Berti, i suoi esponenti di punta.
Tra di loro c’era pure la consigliera regionale Patrizia Bartelle, che oggi prende le distanze dalla faida in atto e dal dossieraggio che ormai da alcuni anni va avanti tra i fronti contrapposti: «Non ho mai alimentato alcuna “faida” né ho creato dossier su chicchessia o chiesto a qualcuno di farlo per me, essendone stata a mia volta vittima in passato - dice Bartelle -. Le lotte di potere non mi interessano, mi attengo strettamente i principi del Movimento ossia la democrazia partecipata, la libertà, l’onestà, la solidarietà, la trasparenza e l’uguaglianza, evitando nella dialettica politica toni e linguaggio aggressivi e prevaricatori». La consigliera polesana smentisce di essere a capo del gruppo «dissidente» ma conferma i malumori diffusi sul territorio tra quanti considerano «traditi» i principi e lo spirito originari del Movimento.
Una galassia minoritaria secondo l’ala «dimaiana» («Saranno sì e no una trentina su mille iscritti in tutto il Veneto») ma tenuta comunque sotto stretta osservazione perché considerata «estremista» - anche per via dei suoi trascorsi politici - «autolesionista» e mossa non soltanto dal ferreo rispetto dell’ortodossia ma anche dal rancore per l’esclusione dalle liste. Una questione di careghe, insomma. Proprio come nei «vecchi partiti», che erano «morti» ma forse anche no.