Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Giurisprudenza, si applichi il principio di responsabilità
Giuseppe Zaccaria, nella veste di giurista e di Magnifico Rettore – che ebbe ad occuparsi, a suo tempo: negli anni 2009-2015, dei problemi della allora Facoltà di Giurisprudenza –, ha invitato alla cautela. Le questioni hanno una genesi risalente. Ha cercato di porre rimedio a «situazioni incancrenite», ma non ha «trovato riscontri»(su questo quotidiano, domenica 4 febbraio). Credo che il termine «riscontro» - in questo contesto – non equivalga a «verifica della corrispondenza tra più cose», ma a ben altro. Significa che non c’è stata alcuna risposta. Più precisamente, tutto è caduto nel silenzio, secondo un collaudato costume: «Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire». Soprattutto, sopire! Così, siamo arrivati ai giorni nostri, in cui si è costretti ad ammettere che i nodi vengono al pettine: sempre! E poiché l’ Università di Padova – la Scuola di Giurisprudenza – non è un bene privato, ma pubblico, è opportuno che se ne parli, appunto, coram populo. Ho scritto – nel 2016, quando si sosteneva l’ esigenza impellente di modificare la Costituzione – che il vero problema, per l’ Italia e non solo, è la classe dirigente. Quindi, metaforicamente parlando, non aveva alcun senso sostituire l’ auto se il pilota era una schiappa. Fellini direbbe : un patacca. Ma attribuire la responsabilità all’ auto assolve il pilota. E, poi, chi dice al pilota che è una schiappa? Nessuno, ovviamente. Così, tutto rimane come è, salvo ricordare che la questione che ci angustia non è nuova. Seguono i bla, bla, bla di rito. È una considerazione che formulo sulla base di una collaudata esperienza e, aggiungo, di un assoluto disinteresse per qualcuno o per qualche cosa, che non sia la mia Università, che ho sempre concepito e concepisco, «per definizione, come luogo della libertà». E che amo profondamente, perché è una comunità di giovani. Sono o non sono decine di migliaia quelli che la frequentano? Per quanto possa apparire banale ricordarlo, questo è un dato essenziale, perché chiarisce quale è la direzione verso la quale si orienta il docente: o è ossessionato da se stesso e dal proprio ego oppure è animato dal desiderio di non tradire la propria missione, attraverso una condotta irreprensibile. È una pregiudiziale: è la pregiudiziale. Una prova indiscutibile? Il 5 aprile 2000, nel cortile antico del Bo, dinanzi a Livio Paladin, che li aveva lasciati, una studentessa si è espressa, così: «Lei professor Paladin, ci ha mostrato che si possono trattare con la stessa serietà gli alti incarichi istituzionali, le lezioni in Facoltà, il ricevimento di uno studente e la preparazione di una tesi di laurea. Ci ha stupito l’ umanità con cui incontrava ciascuno di noi, senza ostentare mai una superiorità di conoscenze, di carriera, di prestigio». Era un uomo semplice. Anzi, essenziale. Era un vero signore. Il suo esame era assolutamente normale. Non provocava ansie, tensioni, angosce. Il suo era un grande insegnamento. I cultori del cosiddetto rigore – di solito, serve a coprire lacune nell’ autorevolezza, che, se c’è, si autoimpone – si propongono come custodi degli studi. Custodi del rigore o non, piuttosto, becchini di una Facoltà divenuta Scuola? Livio Paladin – agli esami- era «buono». Ma non erano di tal fatta anche Bettiol, Opocher, Crisafulli, La Pergola, Voci, Conforti, Falsitta, Carlassare...? Vedete voi, se i conti tornano. Ma i conti non tornano anche sotto un altro profilo. È la macchina che non va. È il modello organizzativo che ostacola. Non sono le persone: si sostiene e si ribadisce. Pure a questo proposito, vale un esempio illuminante. Il Gruppo bancario Intesa San Paolo è salito ai vertici delle classifiche avendo, come modello di governance societaria, il duale: un sistema, che gli studiosi hanno sempre considerato inefficiente. Ha primeggiato – nonostante ciò - perché alla guida c’ erano e ci sono amministratori competenti e capaci. Invece, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e istituti del genere, dotati di un modello sulla carta ottimale, si sa che fine hanno fatto. Per non dire delle Università, le quali, a parità di condizioni, sono amministrate male oppure bene: bene, come l’Università di Padova. E, ancora: per vincere un campionato, basta cambiare modulo di gioco o non, invece, giocatori e allenatore? Salvo eccezioni, bisogna modificare la composizione della squadra. Se non si può, allora ci si rassegna a disputare un campionato da fondo classifica. Infine, che dire di una recente proposta? Qualcuno ritiene che l’ esistenza di due Dipartimenti sia causa di ciò che di negativo esiste o, comunque, ostacolo al suo superamento. Tuttavia, Giuseppe Zaccaria ricorda che le ragioni del dissesto hanno radici lontane: allora, c’ era la Facoltà, l’ equivalente di un Dipartimento unico, e le cose non andavano bene. Il fatto è che, suggerendo questo rimedio, ci si propone - volenti o nolenti – di tacere, per l’ ennesima volta, su quel che si è sempre evitato: di formulare giudizi di merito o di demerito sulle persone e di adottare le conseguenti misure riparatrici. Del resto, che fine fanno le valutazioni degli studenti frequentanti? Che ne è del docente giudicato negativamente, anche per più anni accademici? Ho l’ impressione che, quando si invita all’ impegno senza distinzioni di sorta, si finisca per interpellare sempre gli stessi: quelli che, da sempre, fanno il loro dovere. Con l’ aiuto di una metafora, è come pretendere di guarire il malato somministrando il farmaco al sano. A prese di posizione dolorose, si sono preferite esortazioni consolatorie. Per iniziare un nuovo cammino, è indispensabile guardare all’ Università come insieme: di docenti e di discenti. E mettere mano al principio di responsabilità da applicare, ove occorra, con metodi draconiani.