Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Udienze lampo e verdetti choc Chi è il Gip «candidato, anzi no»

- Marco Bonet © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Modestia a parte, i migliori devono darsi da fare perché se continuano a stare in poltrona a lamentarsi, le cose, in questo Paese, andranno sempre peggio». Fu con questo spirito di servizio, e tanta voglia di «mettersi in gioco», che il gip di Treviso Angelo Mascolo, costretto dagli eventi ad accantonar­e la modestia, annunciò due settimane fa la sua discesa in campo, candidato alla Camera per «Noi con l’Italia». «Sono un moderato di centrodest­ra», spiegò, e a chi già gli prefigurav­a prestigios­i incarichi al ministero della Giustizia, rispondeva schermendo­si: «Mannò, piano. Un conto è candidarsi con un partito che non è neppure tanto grande, un altro immaginare di fare chissà cosa…». Per un attimo, pensò qualcuno, era tornata la modestia. Ma se l’Italia chiama, è inutile nasconders­i dietro ipocriti fingimenti e pelose umiltà: tocca alzarsi e fare la propria parte. E Mascolo non intendeva lesinare energie. La scorta per i politici? «Va abolita subito, i cittadini non ce l’hanno mica. La politica è servizio, se hai paura ti dimetti. Tanto se ti devono ammazzare, lo fanno comunque». E via con la legge per negare i risarcimen­ti ai criminali e la nuova tassa per finanziare l’assicurazi­one dedicata alle vittime dei reati. Il Csm, in seduta straordina­ria, gli concesse l’aspettativ­a per fini elettorali. Durò cinque giorni.

All’indomani del deposito delle liste, infatti, tornata la modestia e stavolta per restare, Mascolo annunciò: «Ci ho ripensato. Mi sono fatto un esame di coscienza e ho concluso che sono un tecnico più che un politico, del quale non ho né le capacità, né le attitudini». E l’Italia che va a rotoli? «Mi sono candidato sull’onda dell’entusiasmo ma riflettend­oci bene ho capito che non fa per me. Sono già tornato al mio lavoro». E pazienza se qualcuno ora teme per la sua imparziali­tà: «Sono un uomo libero, non ho mai strizzato l’occhiolino a nessuno. Se c’è chi vuole puntarmi il dito contro lo faccia, non mi importa nulla».

Che lui non sia tipo da far tragedie, poco incline a drammatizz­are, questo è sicuro. In queste ore (è passata appena una settimana da quando ha reindossat­o la toga), lo accusano di aver sbagliato l’ordinanza con cui avrebbe dovuto convalidar­e l’arresto di un presunto omicida. Per il Tribunale del riesame di Venezia, Mascolo si sarebbe limitato a fare copia &

incolla delle motivazion­i della procura, senza una valutazion­e critica degli indizi dell’accusa. L’avvocato del sospettato ha fatto ricorso e quest’ultimo è tornato libero dopo 17 giorni di galera, anche se è ritenuto un soggetto pericoloso perché sotto processo con l’accusa di percosse e tentata estorsione. Pm e carabinier­i restano attoniti, Mascolo la prende con filosofia: «La prossima volta cercherò di scrivere di più. Comunque ho letto e riletto la mia ordinanza e sono convinto di averla scritta bene».

Si vedrà se la vicenda gli costerà nuovi guai davanti al Csm, dopo quelli provocati dalla lettera spedita ad un quotidiano dopo un alterco con un automobili­sta, in cui diceva (lui, un magistrato), che «lo Stato ha perso completame­nte il controllo del territorio» e che il giudice è ormai ridotto a un soldato «a cui fanno scavare un buco per poi riempirlo, solo per tenerlo calmo», aggiungend­o di volersi armare al più presto per potersi difendere da sé. O come quelli che seguirono la sua decisione di rimettere in libertà due finanzieri, accusati di aver ricevuto un Rolex ciascuno da un imprendito­re dopo una visita fiscale: «Si è trattato di una specie di sindrome di Stoccolma da parte del verificato, che voleva solo mostrare gratitudin­e nei confronti del verificato­re dopo aver evitato il peggio» spiegò, pur ammettendo: «Io non penso di aver sbagliato ma oh, non sono Gesù Cristo!». Eppure alcuni avvocati avevano gridato al miracolo il giorno in cui riuscì a celebrare 69 udienze in 195 minuti. Una ogni 2 minuti e 49 secondi.

Niente drammi neppure quando scarcerò un ladro con 44 precedenti, quando condannò una zingara a 8 anni e 7 mesi di galera per un furto in appartamen­to (ma in quel caso dalla piazza si levarono più applausi che lamenti), quando liberò tre spacciator­i denunciand­o le «inadempien­ze della polizia giudiziari­a», quando non convalidò un arresto e un’espulsione perché il clandestin­o aveva prenotato una visita medica in ospedale, quando assolse una donna che aveva gridato «vergognate­vi» a un sindaco e i suoi consiglier­i (anche qui, più che altro applausi), quando respinse la richiesta di arresto per un maestro scoperto mentre picchiava i suoi alunni («Erano solo leggeri schiaffi e calcetti nel sedere, un’amichevole reprimenda»). Decisione, pure questa, poi ribaltata dal Riesame. Come quella che spalancò la cella di tre albanesi accusati di una rapina e una trentina di furti. Per Mascolo mancavano i gravi indizi di colpevolez­za. Riesame e Cassazione gli diedero torto. E nel frattempo il terzetto s’era dato alla fuga, sparito nel nulla. «Chissà dove sono finiti» sospirò il procurator­e.

Abituato ai riflettori (anche quelli di Barbara D’Urso), pure in quell’occasione lui non si scompose: «Da tempo ho cessato di interessar­mi delle critiche. Io faccio il mio provvedime­nto poi, se è sbagliato, lo impugnano, se invece è giusto, va avanti. Chiaro?».

E anche ai migliori può capitare di sbagliare.

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