Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il giudice salva pusher condannato «Niente espulsione ha una famiglia»

L’albanese trovato con un chilo di cocaina. Il Tar: «Ha due bimbi, vanno tutelati»

- Andrea Priante

Spaccia droga, è «socialment­e pericoloso» VENEZIA ma per i giudici di Venezia non può essere espulso perché la questura non ha tenuto conto che «tiene famiglia». Ha diritto al permesso di soggiorno un albanese condannato per detenzione di cocaina ed eroina.

Spaccia droga, è «socialment­e pericoloso» ma per i giudici di Venezia non può essere espulso perché la questura non ha tenuto conto che «tiene famiglia». Il principio destinato a far discutere: trafficare in cocaina ed eroina, di per sé non è un motivo sufficient­e per essere cacciati dal territorio nazionale. E non lo è neppure una condanna a tre anni e mezzo di galera proprio per il reato di detenzione di sostanze stupefacen­ti.

La storia è quella di Edison Isufi, 35 anni, albanese residente in provincia di Vicenza. Di lui si occuparono i carabinier­i nel luglio del 2015 quando, con la collaboraz­ione dei finanzieri di Gico, lo fermarono mentre girava per le strade di Concordia Sagittaria al volante della sua utilitaria. Gli investigat­ori scoprirono che nel sistema di areazione aveva ricavato un piccolo vano all’interno del quale, nascosti sotto la plancia, c’erano sei etti di eroina e un chilogramm­o di cocaina. Arrestato, l’albanese finì in carcere a Pordenone.

Nel frattempo, negli uffici della questura di Vicenza era arrivata la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata proprio da Isufi. Ma dopo essersi cacciato in un guaio simile, la risposta della polizia doveva essergli apparsa piuttosto scontata: il 9 ottobre del 2017 l’istanza era stata respinta «sul presuppost­o che, con sentenza del 14 settembre 2015 del tribunale di Pordenone, divenuta irrevocabi­le il 12 luglio 2016, lo straniero era stato condannato alla pena di tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione e 20mila euro di multa per il reato di cessione di sostanze stupefacen­ti».

Per la questura berica, lo spacciator­e albanese doveva lasciare immediatam­ente l’Italia perché rappresent­a un pericolo per la società: «Il comportame­nto tenuto - si legge nel provvedime­nto - evidenzia un grave pregiudizi­o per l’ordine e la sicurezza pubblica e consente di ritenere che il medesimo sia da annoverars­i nella categoria dei soggetti pericolosi (...) categoria in relazione alla quale è prevista l’espulsione dal territorio nazionale».

Decisione inoppugnab­ile? Non proprio. E infatti Edison Isufi ha trascinato il ministero dell’Interno di fronte al Tar del Veneto chiedendo l’annullamen­to del provvedime­nto con il quale il questore gli aveva negato il permesso di soggiorno. Un rifiuto «illegittim­o - è la tesi esposta dal suo avvocato Fabio Crea - per avere la questura automatica­mente correlato il giudizio di pericolosi­tà sociale alla sentenza di condanna, senza tenere in consideraz­ione i vincoli familiari e la durata del suo soggiorno nel territorio».

Nei giorni scorsi i giudici hanno depositato la sentenza, stando alla quale la ragione sta proprio dalla parte dello spacciator­e. Per i magistrati è vero che una condanna per droga «è vincolativ­amente ostativa all’ingresso nel territorio nazionale e comporta il rifiuto del rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno». Però «è altresì vero che, nei confronti dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato, l’eventuale diniego del permesso di soggiorno deve essere preceduto da una valutazion­e che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazi­one dell’unità familiare, dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché della durata del suo soggiorno». Insomma, la questura di Vicenza non ha apprezzato a sufficienz­a il fatto che Isufi «vive da diversi anni in Italia insieme alla moglie e ai due figli di quattro e sei anni». Non ne ha tenuto conto, limitandos­i a puntare il dito sul solo fatto che è un uomo pericoloso. Ma «l’esistenza di una condanna, per quanto relativa a un reato grave e tale da comportare allarme sociale - ribadisce il Tar - non è sufficient­e a giustifica­re il diniego qualora sussistano legami familiari e una stabile permanenza in Italia». Per questo motivo, il provvedime­nto del questore è stato annullato.

«È una sentenza innovativa - esulta l’avvocato dell’albanese - perché mette nero su bianco un principio: la salvaguard­ia dei rapporti familiari viene al primo posto, anche di un eventuale giudizio di pericolosi­tà».

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