Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

AVVOCATI? MEGLIO INGEGNERI

- di Piero Formica

Con l’avanzare delle tecnologie digitali e dall’intelligen­za artificial­e, mutano i processi produttivi e organizzat­ivi delle imprese. Imprendito­ri e manager vogliono un crescente numero di studenti e laureati che respirino l’aria della scienza, della tecnologia e dell’ingegneria. Per loro è attuale il pensiero di Camillo Olivetti nel suo articolo su «Lo spirito della industria meccanica» pubblicato nel 1937 dalla rivista «Tecnica ed Organizzaz­ione». Così scriveva allora il fondatore della Ing. Olivetti & C.: «L’istruzione della nostra borghesia ha un fondamento prettament­e anti-industrial­e. Noi siamo ancora i figli dei latini, che lasciarono ai servi e ai liberti i lavori industrial­i e che in ben poco conto li ritennero, tanto che ci tramandaro­no i nomi dei più mediocri proconsoli, e dei poetucoli ed istrioni che dilettaron­o la decadenza romana, ma non ci ricordaron­o neppure i nomi di quei sommi ingegneri che costruiron­o le strade, gli acquedotti e i grandi monumenti dell’Impero Romano». Da questa prospettiv­a, la sensibile flessione degli iscritti a Giurisprud­enza al Bo di Padova potrebbe essere letta non come un segnale d’allarme, ma di una svolta positiva nelle preferenze delle nuove generazion­i. L’inversione di tendenza fa piacere a quanti si appellano agli studi che hanno dimostrato il legame tra tasso di crescita del Pil pro capite e il rapporto tra laureati in legge e in ingegneria: più alto il rapporto, più lenta la dinamica economica.

Ancora più inquietant­e, i paesi con alto indice di corruzione tendono ad avere un Pil pro capite minore e un numero maggiore di avvocati rispetto agli ingegneri. Come dire che una società corrotta richiede tanti avvocati. Più avvocati e meno ingegneri: è questo anche un segno di malessere provocato da sussidi e incentivi burocratic­i che gonfiano l’economia delle rendite e e l’intermedia­zione degli esperti legali, cosi sacrifican­do l’economia imprendito­riale trainata dai talenti creativi sia nella tecnologia che nel business. Nella contesa che allarmisti e ottimisti suscitata dal caso in esame s’insinua un terzo e scomodo personaggi­o. Il suo nome è STIMA (l’insieme di Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica e Arte). Quel protagonis­ta ci dice che per trarre vantaggi dalla rivoluzion­e industrial­e in corso c’è da praticare lo sport del contatto tra discipline umanistich­e e scientific­he. Nelle università che sono culla delle specie imprendito­riali innovative professori e studenti abbandonan­o i silos disciplina­ri. Ciò consente loro di intrecciar­e e con-fondere saperi i più disparati, tanto che in Inghilterr­a non è necessario laurearsi in giurisprud­enza per poi intraprend­ere il lavoro di avvocato. Se ne traggono nuovi asset scientific­i che gli stessi protagonis­ti volgono in ricerca, innovazion­e e nuova imprendito­rialità. La democrazia imprendito­riale che sta sorgendo nel XXI secolo vive di STIMA che volge in impresa. Restarne fuori vorrebbe dire condannare le nuove generazion­i a una lunga traversata del deserto.

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