Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
In mostra i capolavori dal «Bacio» e il «Pensatore» alle «Tre ombre»
Treviso capitale della scultura con Rodin e Martini – tralasciando qualche bruttura di troppo, sparsa ancora nella città (ma pare che ci sia un piano di «riordino»). Apre domani a Treviso, al Museo di Santa Caterina la mostra «Rodin. Un grande scultore al tempo di Monet», a cura di Marco Goldin. Treviso, ultima tappa nell’itinerario delle celebrazioni che il Musée Rodin di Parigi ha voluto per onorare il centenario della morte di Auguste Rodin (1840-1917) è stata ritenuta degna sede per dare giusto risalto alla rassegna ampiamente rappresentativa della opera scultorea – ma non solo- del grande francese anche grazie al nome e alla splendida collezione di Arturo Martini conservata al Museo Bailo.
A Santa Caterina, invece, nel rinnovato allestimento della Pinacoteca e nella radicalmente risanata e messa a norma di sicurezza ampia sala ipogea, la forza e il genio di Rodin trovano razionalità di percorso cronologico nelle tre grandi sale dedicate alla esposizione di gessi, bronzi, marmi, ma anche disegni e quadri che ci raccontano l’evolversi di una poetica partita dalla classicità, maturata alla luce dalla conoscenza diretta dell’opera di Donatello e Michelangelo, approdata a una espressività nuova e densa.
Goldin nel presentare la mostra segnalava la difficoltà del pubblico (non solo italiano) di capire la scultura, prevedendo con questo una dimensione numerica di visitatori certo più limitata rispetto alle sue mostre di pittura: sembra che solo un 5 per cento del pubblico dei musei frequenti le sale dedicate alla scultura. Verosimilmente il rapporto che intercorre tra scultura e pittura è lo stesso di quello che passa tra poesia e prosa, dove poesia e scultura chiedono al lettore/visitatore un coinvolgimento attivo che colmi quei vuoti che l’artista e il poeta creano con l’arte del levare.
Questo è in fondo il punto d’arrivo della grande scultura (e della grande poesia): non raccontare ma suggerire, non dimostrare ma aprire varchi di possibili significati. E Rodin aveva messo a punto esattamente questo pensiero: dalla superficie della scultura deve traspirare l’anima. Ecco perché la perfezione «canoviana», la modalità accademica del Salon gli era aliena; per questa necessità di imperfetto e cioè di infinito possibile, lo scultore guastava le copie in marmo che gli sbozzatori elaboravano dai suoi gessi.
Questo è il principio che regola l’arte di Rodin, quel suo eterno rielaborare la nota Porta dell’Inferno, di cui in mostra il terzo bozzetto, quell’opera