Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

In mostra i capolavori dal «Bacio» e il «Pensatore» alle «Tre ombre»

- di Isabella Panfido

Treviso capitale della scultura con Rodin e Martini – tralascian­do qualche bruttura di troppo, sparsa ancora nella città (ma pare che ci sia un piano di «riordino»). Apre domani a Treviso, al Museo di Santa Caterina la mostra «Rodin. Un grande scultore al tempo di Monet», a cura di Marco Goldin. Treviso, ultima tappa nell’itinerario delle celebrazio­ni che il Musée Rodin di Parigi ha voluto per onorare il centenario della morte di Auguste Rodin (1840-1917) è stata ritenuta degna sede per dare giusto risalto alla rassegna ampiamente rappresent­ativa della opera scultorea – ma non solo- del grande francese anche grazie al nome e alla splendida collezione di Arturo Martini conservata al Museo Bailo.

A Santa Caterina, invece, nel rinnovato allestimen­to della Pinacoteca e nella radicalmen­te risanata e messa a norma di sicurezza ampia sala ipogea, la forza e il genio di Rodin trovano razionalit­à di percorso cronologic­o nelle tre grandi sale dedicate alla esposizion­e di gessi, bronzi, marmi, ma anche disegni e quadri che ci raccontano l’evolversi di una poetica partita dalla classicità, maturata alla luce dalla conoscenza diretta dell’opera di Donatello e Michelange­lo, approdata a una espressivi­tà nuova e densa.

Goldin nel presentare la mostra segnalava la difficoltà del pubblico (non solo italiano) di capire la scultura, prevedendo con questo una dimensione numerica di visitatori certo più limitata rispetto alle sue mostre di pittura: sembra che solo un 5 per cento del pubblico dei musei frequenti le sale dedicate alla scultura. Verosimilm­ente il rapporto che intercorre tra scultura e pittura è lo stesso di quello che passa tra poesia e prosa, dove poesia e scultura chiedono al lettore/visitatore un coinvolgim­ento attivo che colmi quei vuoti che l’artista e il poeta creano con l’arte del levare.

Questo è in fondo il punto d’arrivo della grande scultura (e della grande poesia): non raccontare ma suggerire, non dimostrare ma aprire varchi di possibili significat­i. E Rodin aveva messo a punto esattament­e questo pensiero: dalla superficie della scultura deve traspirare l’anima. Ecco perché la perfezione «canoviana», la modalità accademica del Salon gli era aliena; per questa necessità di imperfetto e cioè di infinito possibile, lo scultore guastava le copie in marmo che gli sbozzatori elaboravan­o dai suoi gessi.

Questo è il principio che regola l’arte di Rodin, quel suo eterno rielaborar­e la nota Porta dell’Inferno, di cui in mostra il terzo bozzetto, quell’opera

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