Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Caso Fanesi, tre indagati per gli scontri
Sono supporter marchigiani. Ieri il tifoso ferito a Vicenza è uscito dall’ospedale
Ci sono anche degli VICENZA indagati tra gli otto tifosi della Sambenedettese convocati dalla procura di Vicenza la prossima settimana per rendere dichiarazioni in merito al grave ferimento, dello scorso 5 novembre, del supporter marchigiano, Luca Fanesi. Rissa è l’accusa contestata a tre di loro, per i contatti avvenuti con la tifoseria avversaria dopo la partita. Intanto ieri Fanesi è uscito dal San Bortolo per stare due giorni con la moglie nella casa a Vicenza.
Quando in una notte del 1908, nella campagna di Meudon, dove Rodin ha il suo atelier fuori Parigi, Edward Steichen fotografa la statua monumentale del Balzac, presentata esattamente dieci anni prima con risultati ben miseri, fa scaturire un’immagine che resterà assoluta nella definizione mai conclusa dell’opera dello scultore. Nella luce dilatata e avvolgente, che conduce verso l’infinito, la notte si vede per chiarità, nel mantello alto della luna che non si vede. Eppure, sparge di sé ogni luogo di quello spazio e di quel tempo, ogni luogo di ogni luogo e di ogni tempo. Nel suo essere inarcato all’indietro, quel corpo ha uno slancio immobile verso l’invisibile nulla della notte. Eppure, la notte è piena d’echi e silenzi, e fruscio d’animali e sogni di uomini e donne. Piena di ricordi, e dolori e rimpianti, e felicità brevi o avvinghiate quasi all’eternità. In quella notte, ponendo Balzac al centro del mondo, collocandolo su un punto che è insieme di sospensione e galleggiamento, e tuttavia anche di sprofondamento che non si sa se imminente o lontano, Steichen prova a fissare un punto. Un punto fermo, quant’altri mai, nell’opera mirabile di Auguste Rodin. L’essere, quell’opera, il frutto della vita e del sogno, di quanto appare e di ciò che invariabilmente scompare. Però lasciando tracce di sé, come la polvere di una cometa in una notte in cui ai camminatori si mostri la strada. Ha parlato sempre di raccontare la verità, Rodin, di entrare in contatto con la realtà. E non soltanto con il suo guscio, ma con gli occhi spalancati guardare il suo cuore, sentirlo battere, rintocco e rimbombo o velluto lieve della memoria e della sera. Fiorire di uno sguardo incrociato nella folla disordinata del mattino, quando la vita dopo la notte riprende e non se ne conosce se non l’annuncio. O ciò che sembra. È stato scultore della pelle e dell’anima. Non si è accontentato mai di aggirarsi attorno alla sola forma, ma sempre ha desiderato che la forma potesse diventare la porta dell’interiorità, la via per raccontare i sentimenti: «Che tutte le vostre forme, tutti i vostri colori traducano dei sentimenti». In questo modo ha sciolto le vele, immerso nella bellezza che non è giusto definire unicamente senza tempo, poiché se è vero che Rodin ha coltivato l’eterno, lo ha fatto partendo sempre dalla verità di un incontro, trasformandolo in una parola ardente: «Per l’artista tutto è bello, perché in ogni essere e in ogni cosa il suo sguardo penetrante scopre il carattere, cioè la verità interiore che traspare sotto la forma. E questa verità, è la bellezza stessa. Studiate religiosamente, non mancherete di trovare la bellezza, perché incontrerete la verità. Lavorate con accanimento». Quella verità interiore che è voce, palpito, sussurro impercettibile eppure da Rodin percepito e detto nella sua opera. Esprimendo il non apparentemente esprimibile, egli ha condotto la scultura sul terreno nuovo di una confessione che non ha l’esacerbato impatto romantico e si fonda invece su un equilibrio mirabile tra sostanza e realizzazione. Equilibrio, appunto. Ma tutto sembra partire, annota Rodin, dalla capacità di emozionarsi. Dalla capacità di vivere e amare. Solo da quella tasca segreta della vita possono essere estratte le forme che si tendono fin dentro lo spazio dell’immenso: «Il punto principale è il provare emozioni, amare, sperare, fremere, vivere. Essere uomo prima che artista. La vera eloquenza non si cura dell’eloquenza, diceva Pascal. La vera arte non si cura dell’arte». Il dialogo è silenzioso, come il rumore che fa la neve quando cade e tutto appare una cosa naturale, senza forzature, solo l’empito del destino.
La poetica Questo artista entra in contatto con la realtà a occhi spalancati Interiorità Tutto parte dalla capacità di emozionarsi, di vivere e di amare