Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Galan, i restauri e l’architetto assolto «Ma il patto corruttivo con Baita c’era» Tra le righe del dispositivo i giudici «condannano» l’ex governatore
VENEZIA
«Il Turato non necessariamente doveva essere consapevole e compartecipe del patto corruttivo Baita-Galan... gli accordi interni tra Galan e Baita gli restavano indifferenti». Non era imputato, avendo già patteggiato 2 anni e 10 mesi; quando è arrivato in aula come testimone assistito, si è avvalso della facoltà di non rispondere; il giorno dopo la sentenza ha tuonato contro i magistrati, dicendo che proprio alla luce dell’assoluzione dell’architetto Danilo Turato, che curò i restauri della sua villa Rodella di Cinto Euganeo, avrebbe chiesto la revisione del processo. Ma tra le righe della sentenza Mose, le cui motivazioni sono state depositate mercoledì, c’è anche la «condanna» dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, quanto meno per l’episodio dei restauri di casa sua. «La ricostruzione della vicenda riposa sulle dichiarazioni di Baita - scrivono i giudici Stefano Manduzio, Andrea Battistuzzi e Fabio Moretti - che appaiono intrinsecamente attendibili. La circostanza che la società Mantovani si fosse accollata l’onere finanziario dei lavori di ristrutturazione di villa Rodella è stata affermata pure da Mazzacurati e Minutillo, sebbene con riferimenti sommari e generici».
I giudici ricordano poi anche la deposizione di Pierluigi Alessandri, ex patron della Sacaim, che aveva detto in aula di aver eseguito lavori per 100 mila euro ben sapendo che non sarebbero stati pagati: «Sacaim aveva bisogno di lavorare nel Veneto e quindi un favore al governatore avrebbe giovato alla stessa», dice la sentenza. E perché allora Turato è stato assolto? Perché secondo i magistrati non c’è la prova che fosse consapevole e partecipe dell’«accordo criminoso», del «patto corruttivo» tra Piergiorgio Baita e Galan. Che però c’era, o perlomeno così sono convinti i giudici del tribunale.
Un punto importante per i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, che di fatto hanno incassato dei successi anche dalle assoluzioni, salvo quella – avvenuta con formula piena – dell’ex europarlamentare Lia Sartori. Il tribunale ha infatti riconosciuto che le accuse nei confronti dell’ex sindaco Giorgio Orsoni (finanziamento illecito) e dell’ex presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva (corruzione) erano fondate, ma entrambi sono stati «salvati» dalla prescrizione. Quanto invece ad Altero Matteoli, l’ex ministro di Ambiente e Infrastrutture, condannato a 4 anni per corruzione e deceduto in un incidente stradale a dicembre, i giudici hanno riconosciuto tutte le accuse dei pm e, anzi, sono andati oltre, ritenendo fondate perfino quelle dazioni di denaro di cui aveva parlato l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati fin dal memoriale consegnato in procura il 25 luglio 2013, due settimane dopo il suo primo arresto, quando iniziò la collaborazione. «Le emergenze istruttorie rendono obiettivamente verosimili le generiche affermazioni di Mazzacurati relative all’avvenuta corresponsione di denaro anche in favore dell’onorevole Matteoli, essendo stato per un apprezzabile lasso temporale personaggio di indubbio rilievo per gli interessi del Cvn», è scritto. Di queste dazioni nel processo si è parlato poco, mentre invece sono state confermate le due – una di 400 mila e l’altro di 150 mila euro – a Erasmo Cinque, l’amico imprenditore di Matteoli, anche lui condannato a 4 anni per corruzione. «Il destinatario finale non può identificarsi esclusivamente in Matteoli, ma è stato uno dei destinatari», dice la sentenza.
I giudici riconoscono poi che, da ministro dell’Ambiente, Matteoli fu fondamentale per l’assegnazione senza gara dei lavori di marginamento di Marghera al Cvn, addirittura con una lettera del 2004 in cui dava il via libera al Magistrato alle Acque. «Nota viziata da evidente incompetenza», dice il tribunale, visto che il Magistrato era sotto le Infrastrutture. Da ministro delle Infrastrutture invece Matteoli aveva assecondato Mazzacurati nella scelta dei presidenti del Magistrato stesso. I giudici parlano di «strumentalizzazione della funzione pubblica ministeriale» e di «consapevole destinazione di ingenti risorse pubbliche alla soddisfazione di interessi privati». L’ok al Cvn aveva infatti, conferma la sentenza, come concambio il coinvolgimento della Socostramo di Cinque, che ebbe un utile di 19,5 milioni di euro, cifra di cui è stata disposta la confisca.