Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Hemingway il «veneto», i ricordi a Ca’ Erizzo
Cosa dev’essere stato quel posto per un giovane americano di un sobborgo di Chicago, un ragazzo tirato su in mezzo alla natura, uno che non aveva studiato né storia né arte. C’è da giurarci, prima non aveva mai visto una casa così antica. «Eravamo in un palazzo vasto e bello, con pareti affrescate, sulla riva del fiume Brenta. La nostra gang fruiva di una bella stanza, che battezzammo ‘’l’angolo dei poeti’’, con un balcone-terrazza e la vista di un bel ponte coperto»: parole di Ernest Hemingway, il ragazzo americano in divisa che a Bassano, a Ca’ Erizzo, nel giugno 1918 trascorre un periodo di convalescenza.
È un volontario, non ha nemmeno vent’anni, una gamba massacrata dalle schegge di granata e da pallottole di mitragliatrice, la trascina piano per le stanze affrescate, gli scaloni, il grande giardino con il viale di carpini. Deve ancora scrivere Di
là dal fiume tra gli alberi, ma la Nave (c’era un traghetto), il lungo edificio quattrocentesco che corre in riva al Brenta è proprio così, e in più guarda le montagne.
Con le stampelle via via dismesse e la sua divisa azzimata, il giovane Hemingway vive qui il suo ultimo scampolo di Veneto durante la guerra: una terra che gli resta dentro, lo segna, lo avvolge, e lo farà scrivere. Rispuntano i ricordi non solo di guerra, ma di terre e atmosfere in Addio alle armi e anche in Di là dal fiume…, e non sono solo coincidenti con la giovinezza e l’esperienza della guerra, così forte.
Ernest tornerà e tornerà, in Italia ma soprattutto nel Veneto: per esserci e basta, a quanto pare. Esserci alla Hemigway, naturalmente: mangiare di gusto, mettere i gomiti sul bancone dell’Harry’s bar di fronte a Giuseppe Cipriani, andare in Pescheria a Rialto a farsi spiegare tutto sui pesci, rintanarsi al Gritti che non è esattamente una tana, prepararsi un cocktail in un albergo di Cortina, cacciare nelle lagune, e manco a dirlo innamorarsi. Come prototipo di turista, niente male.
Il fatto è che non si sentiva un turista. «Io sono un ragazzo del Veneto, un ragazzo del Pasubio, del Basso Piave… un ragazzo del Grappa appena tornato dal monte Pertica» e nel suo peregrinare come volontario della Croce Rossa americana aveva visto Schio, Vicenza, Cittadella, le trincee di Fossalta sul Piave, la campagna trevigiana.
A Roncade aveva ascoltato, nel giugno del ‘18, un discorso di D’Annunzio agli arditi: «Non basta morire» aveva scandito ieratico il poeta dal viso così bianco «come la pancia di una sogliola». Quindici giorni dopo Ernest viene ferito, scrive a casa: «Morire è una cosa molto semplice», e forse era una risposta al vate. Il ragazzo pensa già come scrive da apprendista reporter e da futuro scrittore, quell’objective writing che gli ha insegnato il vicecapocronista Peter Wellington al Kansas City Star.
Ha preso molto dal Veneto, Hemingway. Oltre al cuore di Adriana Ivancich, sensazioni e lezioni di bellezza essenziale, objective beauty. Con la sua fama, oggi restituisce molto. Perché all’Harry’s bar, ben coltivato, aleggia il suo spirito. Perché a Lignano Sabbiadoro c’è un premio a lui intitolato. Perché, infine, Bassano torna a farlo suo con un museo che, fondato quasi quattro anni fa, cresce in personalità ed attività.
A Ca’ Erizzo, appunto, cin- que sale al pianoterra sono il Museo Hemingway e della Grande Guerra, una tappa della memoria che mette insieme il giovane non-guerriero schifato dalla violenza e il grande scrittore diventato poi. Non una celebrazione ma una ricostruzione storiografica, un’immersione nel tempo ma soprattutto - se ci si riesce – nei giorni e nei pensieri di un giovane americano dal cervello fresco, un cronista attento che traduce in parole scarne: «Tutti voi, giovani che avete prestato servizio nella guerra, siete una generazione perduta». Ma anche ritrovata, perché vicino a lui, come per caso, ecco altri giovani che saranno tra i protagonisti della letteratura e del teatro. «L’angolo dei poeti di Harvard» ha un vago sapore goliardico ma era in una stanza di Ca’ Erizzo.
Il museo non è fermo. E se cattura volentieri gli americani di passaggio, console compreso, attrae i bassanesi con mostre temporanee, film, concerti. Nel suo sito museohemingway.it c’è tutto, dalla storia della villa agli eventi in programma. Già due sono i libri pubblicati Sulle tracce di Hemingway in Veneto dovuti alla passione di Giandomenico Cortese, giornalista di lungo corso ed ora curatore del museo.
L’ultimo è fresco fresco, edito da Grafiche Antiga, e ospita scritti che raccontano Hemingway in tutto il suo essere stato qui da noi. Rosella Mamoli Zorzi, Gianni Moriani e Richard Owen, biografo di Hemingway, gettano luce, e per di più una luce veneta, sull’importanza di quei giorni lontani per Ernest, e sui giorni del secondo dopoguerra e dei ritorni dello scrittore. Tutto questo è possibile grazie alla Fondazione Luca, con il capostipite Renato e i due figli, non solo proprietari di Ca’ Erizzo, ma di un’idea che ha regalato ai bassanesi il «concittadino» Ernest Hemingway.