Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Le tribù in coda imprecando il demone
Verona, ore 8,05. Via Mameli. L’inizio di un serpentone di clacson che non cammina. Le tribù degli automobilisti in colonna si dividono sostanzialmente in tre. Quelli che la prendono con filosofia, ascoltano la musica o al massimo si mettono al telefono. La minoranza. Quelli che imprecano e sfidando il demone Burian abbassano il finestrino per vomitare urla. E poi ci sono gli indecisi, che le tentano tutte per non restare imprigionati nelle sabbie mobili del traffico. Stanno un po’ in coda. Poi fremono. Ci pensano. Ci ripensano. Svoltano alla prima via a destra ma fanno peggio. O tentano improbabili inversioni a u. La fauna si moltiplica di tipi e non tipi. Più ci si avvicina all’apice che non arriva mai, l’incrocio di San Giorgio. Più l’impazzimento si disarticola. Passano venti minuti, e quaranta auto prima del semaforo inutile un signore forse sulla sessantina inoltrata scende dall’auto e si mette a litigare con un ragazzo su uno scooter imbottito come un palombaro. I passanti sui marciapiedi osservano, qualcuno incita. Si dividono tra Montecchi e Capuleti. Al confronto i passeggeri del bus che si godono lo spettacolo tra lo smartphone e il finestrino sembrano dei privilegiati. Cinquecento metri più in là i vigili fanno quello che possono. Sbracciano, alzano palette, sembrano scogli in una magma di smog. Acheronti all’incrocio ma l’inferno non finisce. Lungadige San Giorgio è la terra proibita. La salvezza sembrano diventare le Torricelle. Ma il paradiso si trasforma in purgatorio. Non c’è pace fino alla rampa verso le Colombare. Stesso copione. Chi si rassegna. Chi si infila nelle budella delle viuzze laterali e si incastra. Un girone dantesco soprattutto per chi scende per tentare l’assedio al centro. Trentacinque minuti di rabbia italica per attraversare uno sputo di chilometri. Tutto era prevedibile. O quasi. Che prima o poi una tubatura scoppiasse. Le code. I filtri dei vigili. Non l’impazzimento. Verona al tempo del Burian