Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il matematico dei bimbi

Il maestro trevigiano che insegna con le immagini prima che con i numeri «Il calcolo mentale è più veloce ma restiamo prigionier­i dei simboli»

- Francesco Chiamulera

Uno degli strumenti che ha inventato e che si è fabbricato da solo si chiama «Linea del 100», ed è un abaco moderno, un pallottoli­ere che però nasconde un segreto. Dopo che si sono mosse le linee composte dai punti colorati, premendo un bottone si può leggere i segni dei numeri corrispond­enti. E scoprire solo allora - solo dopo che si è imparato a contare - qual è il segno numerico che corrispond­e alla quantità: questo è un trentadue, questo un sessantase­tte. «Mi dicono che in giro c’è almeno un milione di ragazzi che ha imparato a fare i conti così», sorride Camillo Bortolato, 64 anni, maestro di elementari ora in pensione, inventore trevigiano di uno strumento di calcolo che ha cambiato il modo in cui viene insegnata la matematica in molti contesti: il metodo analogico. Ora che Mondadori pubblica il suo ultimo libro, Lettera a un bambino che ha paura della matematica, è facile digitare il suo nome su internet e scoprire che su YouTube Bortolato è già una celebrità, che c’è un intero repertorio di video molto seguiti in cui i suoi allievi scorrono sulla tabella i punti colorati che sono i numeri. E veloci fanno calcoli, addizioni e sottrazion­i con una abilità impression­ante.

Bortolato, tutto è cominciato a pochi chilometri da Treviso, nella campagna veneta da dove viene la sua famiglia.

«Il paese della mia prima scuola si chiama Zero Branco, e adesso che sono adulto abito nel paese confinante, che si chiama Quinto perché si trova a cinque miglia dalla città di Treviso. Sembra quasi che io abbia una predestina­zione per i numeri e la matematica».

Siamo abituati a fare di conto scrivendo l’operazione su un pezzo di carta con una penna. Dove sbagliamo?

«Seguiamo il metodo che ci è stato insegnato nelle nostre scuole. E’ un metodo di importazio­ne francese che ribalta la priorità tra calcolo mentale e calcolo scritto. Enfatizza la presenza delle cifre e la spiegazion­e del sistema numerico. Invece il calcolo mentale è senza cifre. I bambini sono splendidi finché non incrociano questa congiura didattica».

Addirittur­a una congiura?

«E’ nel rovesciame­nto per cui privilegia­mo i codici, i simboli, disconosce­ndo la percezione delle cose. Facciamo prima i simboli e poi vogliamo dare immagine ai simboli. Invece il calcolo mentale è con noi dalla nascita. E’ parte delle strategie che abbiamo tutti per affrontare il mondo. E sa da dove comincia tutto questo? Dalla nostra mano».

In che senso?

«La Linea del 20 e la Linea del 100 che ho inventato ricalcano la forma delle mani, e delle dita. Le mani sono un computer, capace del più basico dei codici: quello binario, basato sul segnale on/ off».

Suo nonno era quasi analfabeta, ma faceva benissimo i conti. Come è possibile?

«E’ possibile perché la matematica è quella che ognuno vive facendo operazioni di calcolo di probabilit­à costante, nella vita, fin dalla nascita. Questo è il nostro strumento primario: indovinare. Invece a scuola si impara il linguaggio della matematica, strumenti con cui diamo simbolo a quello che già facciamo continuame­nte. La scuola è diventata il tempio del simbolo».

Come ha potuto insegnare secondo il metodo analogico nelle scuole pubbliche in questi anni? Non esiste un programma «standard» a cui conformars­i?

«Ho potuto farlo perché per fortuna in Italia non siamo ancora al punto di dare prescrizio­ni esatte sulla didattica. Purtroppo ho paura che ci arriveremo. Ci stiamo dirigendo verso una rigidità che insegue una chimera: quella di conformars­i alle scienze neurologic­he. L’essenza dell’insegnamen­to do- vrebbe invece essere nella semplicità e nell’innocenza. Direi quasi nell’ingenuità. Il metodo analogico che io propongo è più simile a un tablet, che non a caso i bambini padroneggi­ano benissimo. Il tablet vince perché è più aderente al piano umano. Si serve di icone, che sono il mondo vero».

Accogli il fatto di non capire e di non giudicare’, lei scrive. Il suo metodo assomiglia un po’ a una filosofia orientale, ne è consapevol­e?

«Sì. Mi piace. L’Oriente porta a una visione complessiv­a, olistica, in cui non si ha il potere di stabilire con la logica processi necessari. Dobbiamo perderci, come insegna l’Oriente. E come insegna anche la nostra tradizione contadina, dei nostri vecchi».

Sono anche i suoi vecchi.

«Vengo dalla campagna veneta, che nella storia della matematica segna un’eccellenza. Perché proprio a Treviso è stato stampato nel 1478 il primo libro stampato al mondo che spiegava come operare con il calcolo scritto. “L’arte de l’abbacho”, si intitolava. Venezia e il Veneto hanno sviluppato un’eccellenza nel campo degli algoritmi: sopperiva alla richiesta dei mercanti di fare di conto».

Il suo metodo si è diffuso a macchia d’olio, per passaparol­a.

«Prima di trovare una casa editrice che mi ha creduto, Erickson, ho costruito per trent’anni i miei strumenti da solo. Con le mani. Mi sono fatto un laboratori­o in garage, a Quinto, con la sega e il trapano. Ne ho fatti per le moltiplica­zioni, per le tabelline, per mille altre operazioni. E silenziosa­mente sono andato avanti».

Analfabeti ma bravi a fare i conti? Possibile perché la matematica è quella che ognuno vive facendo operazioni di calcolo di probabilit­à costante, nella vita, fin dalla nascita

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Il maestro Camillo Bortolato, autore del libro «Lettera a un bambino che ha paura della matematica»
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