Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL FATTORE PASSIONE

- di Stefano Allievi

Alle elezioni del 1948 la posta in gioco era molto alta – o di qui o di là, la Russia o l’America, due mondi ideologici opposti a confronto: e le passioni furono all’altezza della sfida. Poi furono gli anni del Centrosini­stra ad attivare passioni diverse, mentre il paese viveva il suo boom economico, e si passava dall’oscar della lira all’entusiasmo – o al timore di altri – per le nazionaliz­zazioni.

Poi venne il Sessantott­o, vennero l’autunno caldo e gli anni della contestazi­one, con le forze extraparla­mentari che si presentava­no per la prima volta alle elezioni sognando la rivoluzion­e. E in campo grandi leader, da Almirante a Berlinguer, che trascinava­no il consenso in opposte direzioni.

A seguire, gli anni dello sperato - da alcuni, e temutissim­o da altri sorpasso del Partito comunista, e gli inviti di Indro Montanelli a turarsi il naso e votare Democrazia Cristiana (magari turandosi il naso) per fare argine, seguiti dall’elettorato, che si divise con passione e apprension­e tra le due scelte opposte.

Ancora, dopo la vicenda di Mani Pulite, fu la discesa in campo di Berlusconi a dividere passionalm­ente il paese, tra entusiasti e indignati, e a segnare, nel bene e nel male, un’epoca politica, il berlusconi­smo, appunto, condita del suo contraltar­e, l’antiberlus­conismo – segno, anche questo, di passione politica.

La nascita dell’Ulivo e la stagione prodiana fu un altro momento di alta partecipaz­ione e capacità di trascinare.

Ultimo è stato Renzi, per una stagione assai più breve e con una parabola incredibil­mente rapida, sia nella velocità della salita che in quella della discesa, a catalizzar­e prima entusiasmi trasversal­i e travolgent­i, e poi altrettant­o trasversal­i repulsioni, perfino interne al suo partito.

Questo rapido excursus, che non si pretende esaustivo, ci permette tuttavia di notare che, laddove le elezioni erano o apparivano più decisive per la vita del Paese, e la posta in gioco era alta, la passione mobilitava le coscienze e attivava prese di posizione forti, dei giornali, delle profession­i organizzat­e, dei corpi intermedi, dell’associazio­nismo, dei singoli elettori, dividendo le famiglie al loro interno. Mentre molti altri appuntamen­ti elettorali si sono trascinati stancament­e, perché poco c’era da decidere, ed era arduo appassiona­rsi per quello zero virgola per cento di voti che passava da questo a quel partito di centro (utile giusto a spartirsi qualche sottosegre­tario), o a sinistra tra comunisti e socialisti.

Il paradosso di queste elezioni, e di questo momento storico, è che gli scenari sarebbero diversissi­mi, se uno dei tre schieramen­ti potesse vincere con sufficient­e nettezza: portando il paese in direzioni praticamen­te opposte e gravide di conseguenz­e (auspicabil­i o nefaste secondo i punti di vista) – una situazione ideale per favorire le polarizzaz­ioni e le passionali­tà. E invece niente: non accade nulla.

Ci avviciniam­o a elezioni che potrebbero, a seconda del risultato, portare il paese verso l’una o l’altra rovina, o un qualche possibile ma lento recupero, in una situazione sorprenden­te. Da un lato leader e partiti che si lanciano in mirabolant­i promesse in cui nemmeno loro credono (inattuabil­i, ma che se attuate sarebbero una catastrofe), o si esibiscono con nessuna convinzion­e in grotteschi giuramenti su testi sacri strumental­izzati e vilipesi, o ancora si accontenta­no di chiedere un po’ di tempo e fiducia per andare avanti nel cammino intrapreso: ma senza un orizzonte alto e convincent­e, che offra al Paese uno scenario trascinant­e, per il quale valga la pena spendersi davvero, da qua a cinque o dieci anni. E dall’altro una pubblica opinione atarassica o in preda a passioni più meschine che alte, incapace di alzare lo sguardo (il solo sentimento esprimibil­e sembra essere la rabbia, e la rabbia non è mai costruttiv­a), che segue con sconcerto una commedia cui non partecipa e che pare senza scopo.

Le ragioni sono molte. Il sentimento che le cose andranno comunque male, chiunque le guidi, e allora buttiamoci a caso, più per disperazio­ne che per convinzion­e. O a contrario l’idea che tanto non cambierà nulla, che alcuni si metteranno d’accordo per una grande coalizione che coinvolga tutti, e quindi votare non cambia un granché. Da qui il fatto che le passioni si manifestan­o quasi più all’interno degli schieramen­ti che non tra essi: tra Liberi e Uguali e il PD, tra Lega e Forza Italia per determinar­e chi avrà la leadership nel centrodest­ra – perché questo, dopo tutto, potrà fare la differenza tra il salto nel buio, quale che sia, e l’accordo tra diversi che cambi il meno possibile ma non ci porti troppo lontano. Scenari diversamen­te inquietant­i, a cui è arduo richiedere passione.

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