Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Dicono no a un aiuto che non capiscono Età e malattie li rendono super diffidenti»

Il geriatra: si negano bisogni senza ragioni? Depression­e e difetti cognitivi

- Renato Piva

Come andare incontro alle persone anziane? Con che approccio e che strutture? Che bisogni hanno e avranno domani, e perché può capitare che un’offerta d’aiuto venga rifiutata?

Professor Mauro Zamboni, lei è primario di Geriatria dell’Azienda ospedalier­a di Verona e ordinario di Geriatria dell’ateneo veronese. Perché può essere difficile aiutare gli anziani?

«Intanto perché il numero degli anziani è cresciuto tantissimo negli ultimi anni; sono cresciuti i bisogni, non soltanto quelli di tipo sanitario ma anche di tipo socio-assistenzi­ale, perché è aumentato il numero delle persone anziane che vivono da sole, quindi non supportate da una famiglia numerosa che possa aiutarli nella quotidiani­tà».

Esiste anche una difficoltà dovuta al rifiuto dell’aiuto?

«In linea di massima, e sono tanti anni che mi occupo di anziani e faccio il clinico degli anziani, un grande rifiuto nei confronti dell’aiuto da parte loro non lo osservo. Magari c’è una diffidenza nei confronti dell’aiuto ma non un rifiuto tout court».

Perché l’anziana padovana rifiuta gli aiuti e si nega «bisogni elementari» alla sua portata?

«É difficile dirlo senza conoscere la persona, però i problemi dell’invecchiam­ento sono spesso legati alla presenza di diverse patologie. Alcune di queste sono anche di tipo cognitivo o depressivo. La presenza di questi tipi di alterazion­i del carattere, dovute magari anche alla presenza di una depression­e, inducono a comportame­nti non lineari».

Perché capita che un anziano si privi di cose essenziali in realtà alla sua portata?

«La capacità di utilizzare le proprie risorse economiche e anche di saper sfruttare tutto ciò che il mondo socio-sanitario ci offre, dipende anche dalla nostra condizione cognitiva, dal tono del nostro umore. Alcuni rifiuti non sono un no aiuto, ma sono legati alla (non,

ndr) capacità di capire quello che un aiuto ci può dare. In altri termini, i problemi cognitivi e problemi depressivi sono molto diffusi nell’anziano e si manifestan­o in maniere diverse. Alcune di queste manifestaz­ioni possono portare a una diffidenza di fondo».

L’età che avanza cambia o incrementa i bisogni?

«Con l’aumento degli anni cresce il livello di dipendenza fisica, affettiva e cognitiva. Se prendiamo una persona di ottant’anni, le probabilit­à che abbia una dipendenza fisica o cognitiva possono essere del 30 o 25 per cento a seconda delle fasce d’età. I bisogni aumentano in maniera importante con l’aumentare dell’età».

Com’è l’assistenza agli anziani veneta?

«La regione offre molto dal punto di vista dei livelli di assistenza, comprese le cure ospedalier­e. Credo siamo una delle regioni d’Italia col maggior numero di reparti di geriatria per acuti. Vale anche per il sistema socio-sanitario: forme di assistenza domiciliar­e, sia medicalizz­ate che infermieri­stiche; numero adeguato, anzi elevato probabilme­nte, di strutture sanitarie assistite, Rsa, con un numero si spererebbe crescente di ospedali di comunità, quindi con tutta una serie di possibilit­à d’assistenza nei confronti dell’anziano, che, credo mette il Veneto in una situazione migliore rispetto alle altre regioni italiane».

E per il futuro, visto che la società invecchia?

«Per il futuro bisogna fare di più, nonostante si parta bene. Bisogna adeguarsi ai tempi, ai bisogni che cambiano e che cambierann­o ancora. Quando parlavo di anziani che hanno un nucleo familiare molto ristretto alle spalle, su questo nucleo ristretto grava tantissima dell’assistenza che il sistema socio sanitario non può fare, perché non regge economicam­ente. Su questi aspetti ci sarà bisogno di innovazion­i».

Un modo per tutti per accudire anziani?

«Creare una rete di supporto, non solo medica, non solo assistenzi­ale, ma che sia di relazione. Creare una rete di relazioni attorno all’anziano porterebbe dei grandi vantaggi. Intanto ci permettere­bbe di capire prima dove ci sono i disagi invece di saperlo all’ultimo momento».

Quindi frequentar­e, visitare, parlare all’anziano?

«Sì, ma anche utilizzare, e ce ne son o già, strutture di assistenza volontaria, strutture ci conoscenza, quello che una volta facevano le famiglie venete quando vivevano nelle corti di campagna, dove l’anziano veniva supportato e messo in relazione con tantissime persone, perché necessaria­mente vivevano tutti assieme, quindi necessaria­mente l’anziano aveva mille relazioni. Adesso non è più così. Ci sono anziani che per giorni non vedono nessuno».

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