Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Beggio, il genio veneto che creò il mito di Aprilia L’omaggio dei campioni: «Da Noale sfidò il mondo»
Morto ieri Mister Aprilia: «Da Noale in tutto il mondo, eravamo il marchio più innovativo»
Il signore delle moto se n’è andato a 73 anni, all’ospedale di Montebelluna, sopraffatto dal male che si era improvvisamente ripresentato a distanza di anni. Ivano Beggio, il papà dell’Aprilia, dello Scarabeo e della SRV 1000, è l’imprenditore veneto che ha saputo sfidare, spesso battendoli sull’innovazione tecnologica, i colossi mondiali, che si chiamino Honda o Yamaha. L’omaggio dei campioni. «Da Noale ha conquistato il mondo».
Ivano Beggio, l’uomo VENEZIA che ha trasformato il ruggito del Nordest nel fantastico rombo di una moto o nel suono amichevole di uno scooter alla moda, se n’è andato nella notte di ieri a 73 anni, all’ospedale di Montebelluna, sopraffatto dal male che si era improvvisamente ripresentato a distanza di anni. È il papà dell’Aprilia, dello Scarabeo e della RSV 1000, è l’imprenditore che ha saputo sfidare, spesso battendoli sull’innovazione tecnologica, i dominatori mondiali di un settore che da sempre si crede sia destinato a pochi giganti, che si chiamino Honda o Yamaha. Lo ha fatto da Noale, provincia di Venezia, terra anomala perché il Veneto non è culla di motorismo come l’Emilia Romagna. Ed ha lasciato talmente una traccia di sé che la sua scomparsa oggi fa tanto notizia, nonostante l’assenza pressoché totale dalla scena pubblica, databile dall’ormai lontano 2004. Viveva ritirato nella sua villa di Asolo da quando aveva dovuto bruscamente abbandonare il timone del suo gruppo, appesantito dai debiti per l’acquisizione di Moto Guzzi e Laverda e piegato dall’improvvisa crisi di vendite sul mercato italiano di scooter e moto di piccola cilindrata (erano gli anni in cui si introduceva il casco obbligatorio). Eppure «a Beggio come ricorda Alberto Baban, industriale e suo compaesano - nessuno ha mai imbastito processi, lui ha continuato a raccogliere attestati di stima per ciò che ha costruito e per l’eredità che lasciato sul territorio».
L’epopea di Beggio e dell’Aprilia è stata narrata più volte, e affonda le sue radici nella piccola ditta di biciclette ereditata dal padre Alberto, che lo lasciò orfano a 27 anni. Il nome dell’azienda era quello, ma Ivano, che fin da ragazzino si era innamorato delle moto, ne fece ben presto un’altra cosa. «Il primo motorino lo realizzai a 16 anni - raccontava nel suo libro di ricordi affidati alla pagina Facebook personale - mi rivolsi ai tanti artigiani che facevano in giro i singoli componenti. Approfittai degli strumenti a disposizione in bottega, e feci il primo cinquantino». Dalla scintilla iniziale, l’intuizione industriale: Beggio ha sempre sviluppato l’Aprilia come fabbrica leggera, che crea in casa il progetto, cura l’idea e lo sviluppo, ma affida molte parti del processo all’esterno.
Seconda intuizione: il brand come veicolo del successo commerciale, l’impegno sportivo «come strumento imprescindibile di comunicazione». Lo ricorda bene Mariano Roman, oggi amministratore delegato di Fantic Motor, che Beggio lo ha affiancato per un quarto di secolo, nelle vesti di direttore tecnico e di prodotto. «Iniziò con le moto da cross poi, crescendo, a partire dall’84 tentò l’avventura nella velocità in pista». Passione divorante e coraggio, tipici della crescita eroica del Nordest, perfettamente rappresentati da un aneddoto che data l’anno successivo: «Un professore della Bocconi, cui aveva affidato un’analisi strategica, consigliò a Beggio di vendere l’azienda al più presto possibile, perché al mondo non c’era posto per un player come lui, al cospetto dei colossi giapponesi». E invece di mollare, raddoppiò gli sforzi: «Cambiammo tutto», rievoca commosso Roman. Da lì l’abbrivio per il decollo: il reclutamento di talenti in pista, con l’ingaggio dei campionissimi agli esordi che più tardi si chiameranno Max Biaggi e Valentino Rossi, solo per citarne due. Il lancio di prodotti che hanno fatto la storia, vedi lo scooter Scarabeo, mezzo milione di pezzi venduti grazie a colori e design di fortissimo richiamo. O le moto che replicavano nelle grafiche, perfino con i loghi degli sponsor, quelle che raccoglievano successi nelle piste agonistiche di mezzo mondo. O, ancora, i cinquantini di carattere «sportivo», assoluta novità in quegli anni. «Ogni prodotto - sintetizza Roman - doveva un po’ stupire». E doveva funzionare bene: lo sapeva anche la Bmw, che nel ‘95 affidò ad Aprilia la produzione della sua monocilindrica F650, un mito per i cultori. «Abbiamo vissuto momenti magici - chiude Roman -. Noale era diventata uno delle fabbriche più avanzate al mondo».
Le cronache della massima espansione parlavano di 500 milioni di fatturato, cinque stabilimenti, il secondo posto tra i produttori in Europa. Poi, l’errore Guzzi e l’epilogo imposto dalle banche creditrici, con l’acquisizione da parte della Piaggio di Roberto Colaninno e l’addio alla sua creatura. Il ritiro ad Asolo, con l’amata moglie Tina («la mia migliore consigliera») e il figlio Gianluca. Senza rancori, forse aiutato da una certa pratica delle filosofie orientali, abbracciate già in epoca di grande successo personale. Quei suoi viaggi in India un indizio di originalità, impiantata in un capitano d’industria dai modi gentili che ha incarnato perfettamente lo spirito di un’epopea irripetibile.