Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Le lacrime dei suoi operai «Lavorare con lui, un onore»

L’officina del padre c’è ancora. «Un onore lavorare con lui»

- di Andrea Priante

La vecchia officina di biciclette è ancora al suo posto, anche se a coprire i muri scrostati ci sono le foto in bianco e nero che mostrano la partenza della Coppa Zardo, una manifestaz­ione ciclistica per dilettanti che si disputò negli anni Venti.

Di fronte al municipio di Scorzé, nel Veneziano, resistono i locali che Alberto Beggio, il padre di Ivano, aveva destinato alla vendita e alla riparazion­e delle bici che costruiva a una manciata di chilometri di distanza. E anche se l’insegna «Cicli Aprilia» non c’è più da mezzo secolo, all’interno si respira la stessa aria. Odore di gomma e grasso per ingranaggi.

Oggi si chiama «Fardin cicli», e Albino Fardin la rilevò negli anni Sessanta. «Papà era un dipendente di Alberto Beggio, imparò da lui i segreti del mestiere e poi lo convinse a vendergli l’officina», racconta Alessio Fardin, che oggi la gestisce con il fratello Francesco. «Per noi è un onore lavorare nel luogo che fu la culla di una grande azienda, divenuta famosa in tutto il mondo».

In quei locali, c’è da scommetter­ci, ogni tanto faceva capolino anche un giovanissi­mo Ivano, che era nato nella vicina frazione di Rio San Martino. Ma in fondo, all’epoca era solo «il figlio del

paròn» che a 16 anni aveva assemblato il suo primo motorino con i pezzi acquistati dagli artigiani della zona e che sognava, un giorno, di vincere un Mondiale.

Ma per avere chiara l’impronta lasciata dall’uomo che rese grande l’Aprilia, occorre spostarsi di cinque chilometri, a Noale, nello stabilimen­to che vide l’azienda di famiglia abbandonar­e la costruzion­e delle biciclette per scommetter­e su moto e scooter. È il quartier generale, dove Ivano Beggio trasformò una delle tante piccole imprese sorte nel Dopoguerra, nella fabbrica dei sogni. Quella che esordì con modelli che si chiamavano «Colibrì», «Daniela», «John John» (in omaggio al figlio di Kennedy), quella della prima motociclet­ta da fuoristrad­a, la celebre «Scarabeo» del 1970. Quella che oggi vanta 56 titoli mondiali e 294 Gran Premi conquistat­i nel motomondia­le. Ragionando in termini di vittorie, è primo tra i costruttor­i europei.

Anche se nel 2004 Ivano Beggio cedette il Gruppo alla Piaggio, è fuori da questi cancelli che è possibile incontrare chi ne ha conosciuto il carisma, oltre al genio imprendito­riale. «Grazie a lui, il paesino di Noale ha battuto il grande impero Honda», rivendica Milotic Borivoj, da 25 anni in Aprilia. È un ingegnere meccanico specializz­ato nella progettazi­one di telai, compresi quelli delle moto con cui Max Biaggi vinse i suoi primi mondiali.

«Beggio era un uomo capace di rincorrere i sogni rimanendo sempre con i piedi per terra», spiega Borivoj. «Quando Aprilia vinceva, organizzav­a delle grandi feste alle quali eravamo tutti invitati. E lui era in mezzo ai suoi dipendenti: ci trascinava, facendoci sentire parte di qualcosa di grande, fieri d’indossare una maglia con il marchio dell’azienda. Per questo, ciascuno era spinto a lavorare al meglio delle proprie capacità».

Un senso di appartenen­za, quello che coinvolge i dipendenti Aprilia, che oggi sopravvive al suo fondatore. «È più di un orgoglio, lavorare qui», dice Luca Gasparro, che si occupa di dinamica ed è arrivato in azienda solo da un paio d’anni. «Beggio io non l’ho mai conosciuto - spiega ma è chiaro che se oggi qui si continuano a fare grandi cose, il merito è anche suo, per ciò che ha saputo trasmetter­e».

A Noale si fa soprattutt­o progettazi­one. Per capire quale fosse il rapporto tra l’imprendito­re e i suoi collaborat­ori, basta ascoltare i racconti di chi lavora negli uffici e che ieri, quando la notizia della morte ha superato quelle mura, si è lasciato andare alla commozione. Ciascuno ha un piccolo aneddoto. C’è chi, come Alessandro Leo, può vantarsi di lavorare in un ufficio ricavato in quella che un tempo era la «casa» di Ivano Beggio: un piccolo appartamen­to che utilizzava quando, per motivi di lavoro, non poteva tornare dalla sua famiglia e rimaneva a dormire in fabbrica. «È stato un grande uomo», dice.

E c’è chi ci ha lavorato fianco a fianco. Come Alessandro Garbuggio, che è in Aprilia dal 1997 e si occupa di ricambi. «È stato capace di creare un modello di impresa innovativo per l’epoca. Basti pensare che negli anni Novanta inaugurò una sorta di sito internet dove ciascun lavoratore poteva scrivere i propri suggerimen­ti per migliorare l’azienda. Lui leggeva, valutava, e poi inoltrava la segnalazio­ne ai dirigenti», ricorda.

Beggio era un uomo cui piaceva comunicare. Lo faceva anche negli ultimi tempi: a 73 anni gestiva una pagina Facebook sulla quale riversava i propri ricordi, le foto dei campioni con i quali aveva collaborat­o, e rispondeva agli appassiona­ti che gli scrivevano chiedendog­li consigli.

In un post di pochi mesi fa raccontò il perché del nome Aprilia: «Fu mio papà Alberto a sceglierlo quando iniziò a costruire biciclette: era rimasto ammaliato dalla Lancia Aprilia, una vettura molto innovativa e molto bella (...) Grazie Papà per avermi insegnato così tante cose che mi sono state preziose per il resto della mia vita».

Il progettist­a Era un uomo capace di rincorrere i sogni rimanendo sempre con i piedi per terra. Ci faceva sentire parte di qualcosa di grande

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