Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Confini, strade energie: cent’anni di liti tra Regioni
Dalla Marmolada e la guerra di confine, al tema delle autostrade, dallo sfruttamento dell’energia all’ambiente: quella tra Veneto e Trentino Alto Adige è una storia di liti lunga cent’anni. A cominciare dal quel 1911 a Canazei.
Come nella migliore tradizione dei vicini di casa: sempre in lite per mille motivi. Solo che Il Veneto e il Trentino Alto Adige non battibeccano per la pulizia delle scale, le bollette della luce o la manutenzione del giardino. Il caso della trasmissione televisiva di Alberto Angela che, qualche settimana fa, parlando delle Dolomiti, ha citato i soli «cugini», tralasciando del tutto il Veneto, ha riportato a galla i vecchi dissapori tra le due regioni che condividono quelle montagne, seppur su versanti opposti. Ed è proprio sulla linea di confine che si annida uno dei motivi di dissidio, quella conosciuta ormai come la «guerra dei cippi», che sulla Marmolada va avanti da oltre un secolo.
Nel 1911 Canazei, in territorio trentino, e Rocca Pietore, nel Bellunese, firmarono il primo accordo sulle ripartizioni territoriali. E da allora si sono succedute carte su carte che, di volta in volta, hanno spostato di qualche metro verso Venezia o verso Trento le linee di confine tra i due territori, con la Marmolada che, a ondate, diventava un po’ troppo veneta o un po’ troppo trentina. Non solo una questione di prestigio, ma anche di soldi. Perché su quelle rocce si gioca una fetta importante dell’economia montana, quella della gestione degli impianti di risalita. Nel 1982, l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, con un decreto, stabilì che il confine non doveva essere tracciato in linea retta sul ghiacciaio ma doveva seguire l’andamento naturale della cresta delle montagne. Una decisione ribadita vent’anni dopo da un accordo stretto tra quelli che, ai tempi, erano i governatori delle Regioni: Giancarlo Galan e Lorenzo Dellai. Nonostante questo, però, nei mesi scorsi la questione è di nuovo finita davanti al Tar. E se l’attuale governatore veneto Luca Zaia, a maggio, si è reso disponibile ad un accordo, non ha risparmiato una stilettata: «Sanno tutti che la Marmolada è in Veneto».
Quando si parla di confini, però, non vengono in mente solo quelli tra i ghiacci delle vette, ma anche quelli che molti Comuni vorrebbero oltrepassare per diventare parte di quella grande e felice famiglia delle due Province a statuto speciale che sono il Trentino e l’Alto Adige. Che finora hanno sempre respinto i tentativi di fuga. Tutti. Tranne uno, quello ipotetico di Cortina, che, con la sua aura di «Regina delle Dolomiti», sarebbe ben accolta dagli altoatesini, e alla quale i «cugini» hanno rivolto più di un invito. E nei confronti del Veneto, che da anni rivendica maggiore autonomia - diventata richiesta istituzionale con un referendum - Trento e Bolzano hanno sempre dimostrato un atteggiamento duplice. Da una parte si dicono alleati di palazzo Balbi, dall’altra hanno più volte sottolineato come prerogative e specialità loro riconosciute dalla Costituzione siano frutto di una storia estranea al Veneto, fatta dalle lotte di piazza del Dopoguerra e di particolarità culturali come la minoranza linguistica.
E visto che, si sa, l’erba del vicino è sempre più verde, i veneti storicamente guardano con una certa invidia che allude a un privilegio alla ricchezza del Trentino Alto-Adige. Quest’ultimo può reinvestire sul territorio, e quindi sulle proprie aziende, una fetta decisamente maggiore delle proprie tasse, a tutto vantaggio delle imprese e del turismo. E così, per esempio, le Province speciali offrono finanziamenti a fondo perduto agli hotel che si dotano di centri di benessere, mentre gli albergatori veneti, se vogliono costruirseli sono costretti a pagarli da sé, facendo lievitare i costi per i turisti. Che così preferiscono rivolgere il proprio sguardo altrove.
L’ultimo schiaffo a Venezia risale a qualche mese fa, quando il parlamento ha concesso a Trento e Bolzano la devoluzione della gestione delle «concessioni per grandi derivazioni a scopo idroelettrico». Cioè il potere di disciplinare l’attività delle centrali energetiche lungo i fiumi. Una decisione che, dice l’assessore all’Ambiente veneto Gianpaolo Bottacin, «porterà carriole di soldi ed energia gratis» ai vicini, ma che rischierà di rinfocolare la guerra dell’acqua accesa la scorsa estate, quando il Veneto accusò il Trentino di aver prosciugato i fiumi per alimentare le centrali, mettendo a repentaglio l’agricoltura.
Tutto questo, negli stessi giorni in cui le due Regioni discutevano della limitazione del traffico sui passi alpini. A luglio l’Alto Adige ha deciso di chiudere alle auto, per un giorno la settimana, passo Sella per limitare l’inquinamento. «Una follia», ha tuonato Venezia, prendendo le parti degli albergatori e dei gestori dei rifugi che lamentavano un calo dei guadagni nei giorni di stop al traffico. Le rimostranze, però, non sono servite: la Provincia di Bolzano sta pensando di riproporre l’iniziativa.
Alla base di tutto, sempre, ci sono i soldi. E inseguendo la scia economica, si arriva a un’altra delle questioni aperte: le infrastrutture. Qui entra in gioco uno dei principali progetti di viabilità fin dagli anni Settanta, quello della Valdastico, l’autostrada che dovrebbe collegare Trento a Rovigo passando per Vicenza. Una tratta complessa, perché Trento non gradisce l’idea di un’autostrada a pedaggio in provincia e un collegamento diretto sull’A22 che sottrarrebbe traffico (pedaggi) sull’Autobrennero. Sulla questione è stato detto tutto e il contrario di tutto: che la Valdastico alleggerirà il traffico in Valsugana ma anche che aumenterà l’inquinamento. In ogni caso, tutto è in sospeso, almeno finché l’A4 Holding non incasserà il via libera definitivo sul progetto da Roma.