Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL VOTO DEL POPOLO E LE GERARCHIE CATTOLICHE

Quanti voti ha preso il Papa? E quanti i vescovi delle diocesi venete? E quanti le comunità cristiane? La «linea» e il problema del consenso

- di Giampiero Beltotto

Quanti voti ha preso il Papa? E quanti i vescovi delle diocesi venete? E quanti le comunità cristiane? C’è chi dice zero, c’è chi parla dell’uno per cento. È lecito parlare di voti anche per il Papa, per i vescovi e per le comunità? Credo di sì perche, pena l’essere irrilevant­i, il consenso attorno alla figura di Francesco si è costruito sulla narrazione dei suoi scomodi scarponi e di borse sformate, ma gli obiettivi si centrano sulle politiche che vengono scelte dai rappresent­anti del popolo ancora e fortunatam­ente eletti nelle urne e non dalla rete .

Tre sono le sensibilit­à di Francesco e dei suoi vescovi: l’accoglienz­a per tutti, l’ambiente e un po’di sociologia rivolta al cosiddetto ospedale da campo. Col richiamo costante alla Chiesa tutta di non fare politica, di non impicciars­i con i partiti e di non interferir­e con lo Stato.

Così, anche le grandi diocesi del Veneto, si sono adeguate. Ciò è accaduto, ma a discapito delle grandi tradizioni del Movimento cattolico italiano e veneto, assai più ricco di quanto sia testimonia­to dal solo volontaria­to, molto gettonato peraltro negli ultimi anni. Pensate a Treviso, terra di quel Giuseppe Toniolo che scrisse la Rerum Novarum, il documento cristiano più intrinseca­mente politico del ventesimo secolo. Pensate a Padova, terra di pellegrina­ggi ma anche di quegli epigoni di un vasto movimento cattolico e di quei ragazzi figli don Giussani che, in anni non lontanissi­mi, furono gli unici a difendere politicame­nte la democrazia nelle università occupate dalle spranghe di Potere operaio. Poi e solo poi si occuparono di ristorazio­ne.

Pensate a Verona, patria di Guido Gonella, grande giurista, buon giornalist­a e magnifico democristi­ano figlio dello sturziano appello ai liberi e forti. Pensate ancora ai veronesi che in epoche lontane difesero l’identità cristiana negli anni della buia occupazion­e napoleonic­a e illuminist­a.

Si potrebbe andare avanti, dimostrand­o che i cattolici veneti hanno fatto tanta politica e tanta buona politica. Oggi, seguendo i messaggi in voga, sembrano dediti all’autodafé. Trascinati da questo Pontificat­o che sta andando da tutt’altra parte, così trasforman­do una secolare ricchezza polifonica in una sorta di San Vincenzo monotona e monodica. Quasi che, come del resto ha affermato di recente un autorevole gesuita, ordine clericale in grande spolvero sotto il Papa gesuita, per essere cristiano si debba ubbidire a una esclusiva e ripetitiva sensibilit­à sociale. Ma per dedicarsi ai poveri non occorre essere cristiani.

Tale atteggiame­nto rischia di non riuscire a farsi nemmeno troppe domande: accogliere siriani di fede cristiana e far entrare giovani islamici, per esempio, non è davvero la stessa cosa. Prima della Merkel lo aveva predicato, inascoltat­o, il cardinale Giacomo Biffi. Lui al tempo venne sbeffeggia­to. Ma oggi non è ricordato da chi dovrebbe far memoria per mestiere.

Non parliamo poi della scomparsa dei «corpi intermedi», determinat­a da quei pastori che hanno abbracciat­o dentro la Chiesa quella disinterme­diazione e quella orizzontal­ità che è il plancton che nutre risentimen­to sociale e irresponsa­bilità. Chi formerà le classi dirigenti? Chi nutrirà e di quali valori, i futuri insegnanti, i giornalist­i, i magistrati, i sindacalis­ti, i manager? Chi ci farà riscoprire l’etica cristiana nelle relazioni quotidiane e nelle strategie sociali? Ma se i cristiani si rinchiudon­o nel loro ridotto fatto di buone intenzioni e non di buona politica, le futuri classi dirigenti da chi saranno formate? Ogni vuoto sarà riempito. La Lega, nel nostro Nordest, ha preso tanti voti. Zaia e il buon governo, d’accordo. Ma Salvini «barbaro e fascista», come hanno gridato ai quattro venti tanti bravi ragazzi iscritti da sempre ai «cattolici adulti», quelli che contano e che dirigono i Consigli pastorali, Salvini, appunto, ha fiutato la vuotezza dell’offerta cattolica e con una certa rude semplifica­zione ha mostrato il rosario e il Vangelo. Il gesto ha scandalizz­ato i puristi, i cattolici della mediazione eredi di Jacques Maritain. Ma ha raccolto consensi tra il popolo che dovendo scegliere tra Vangelo e Corano, ha preferito non badare alle gerarchie riafferman­do il valore della civiltà cristiana, diversa da quella predicata dai gesuiti di oggi, che però già al tempo di Blaise Pascal e delle sue Provincial­i andavano errando. Ha testimonia­to, il popolo, di voler vivere la civiltà di chi ha fondato la politica sulla libertà che scaturisce, appunto, dal Vangelo. Il popolo è integralis­ta, diranno i colti. L’Europa brusselles­e, altro motivo su cui i cattolici sapienti dovrebbero riflettere, non ammette che sia il Cristianes­imo la sua radice. Ma allora, vale la pena di starci? Il voto del popolo costringe ogni gerarchia, dunque anche quelle cattoliche, a mettersi in discussion­e. Una volta tanto non discutano la dottrina, ma le loro proprie idee. Bisogna fare in fretta prima di trasformar­ci definitiva­mente in custodi di musei.

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