Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
NORDEST, LO SCISMA SOMMERSO
Dove è finito, nel Veneto (che fu) bianco, il voto cattolico? É solo diventato il voto dei cattolici, come ha evidenziato su queste pagine il patriarca Moraglia, e non più quello di un blocco sociale religiosamente ispirato, che per anni ha guardato alla Dc e poi, con sfumature varie, al centro? L’interrogativo non è nuovo, ma la portata del voto del 4 marzo (la Lega salviniana, dichiaratamente anti-papa Francesco, primo partito in Veneto, 1 voto ogni 3 elettori) propone in maniera inedita la questione in una regione per anni, e lo è ancora oggi, a più alta densità religiosa d’Italia. Forse però l’angolatura di analisi va spostata per focalizzare meglio il problema. Ben 20 anni fa venne pubblicato un saggio di Pietro Prini «Lo scisma sommerso». In esso si analizzava la distanza creatasi negli ultimi decenni tra l’insegnamento dottrinale della gerarchia cattolica e la pratica dei fedeli in materia di morale sessuale. Ebbene, due decenni dopo potremmo parlare - guardando i dati delle elezioni - di un nuovo scisma sommerso, almeno in Veneto. Ovvero. Se negli anni di papa Wojtyla le direttive ecclesiastiche si concentravano sopratutto sulle faccende dalla «cintola in giù» (per usare un’affermazione provocatoria dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi), oggi la Chiesa di papa Francesco ha posto la nuova questione sociale come cardine del proprio impegno e fulcro intorno al quale chiede ai credenti di praticare il Vangelo.
Questione sociale significa l’arrivo e l’accoglienza dei migranti, l’apertura ai poveri, l’emergenza ambientale, la precarizzazione del lavoro. E mentre nel decennio wojtyliano molto del popolo cattolico si distanziava dall’insegnamento ufficiale nelle scelte sul sesso (rapporti extramatrimoniali, contraccezione, aborto), oggi pare che la faglia tra fedeli e gerarchia riguardi il rapporto tra fede e fatto sociale, se appunto è Matteo Salvini con il suo credo sovranista intriso di venature non inclusive il nuovo Mosè dell’ex sagrestia d’Italia. Esempi? Quanti imprenditori veneti hanno letto e preso sul serio l’enciclica Laudato si’ sulla cura del creato? Quanti hanno iniziato a fare i conti con la «conversione ecologica» richiesta con urgenza dal pontefice argentino? Quante sono le parrocchie che, davvero, hanno avuto il coraggio di farsi carico dei migranti, non solo nell’accoglienza ma anche in un’incisiva educazione alla diversità? Eppure il Veneto ha sempre avuto una vocazione global in tema di fede cristiana: i missionari vicentini sparsi nel mondo sono 700, quelli veronesi 500. Quanto del mondo, dei popoli incontrati, delle tragedie toccate con mano da questi veneti ha interpellato il ceto medio cattolico tra il Garda e l’Adriatico? E ancora. Quante aziende hanno ragionato davvero sull’invito di Bergoglio a non rendere istituzionalmente precario il lavoro dei dipendenti? Quante famiglie che si dicono cattoliche hanno aperto porte e cuore a persone con disagio, senza tetto, uomini e donne alla deriva della vita? Forse è proprio questo nuovo scisma sommerso che andrebbe scandagliato meglio per capire come l’ascesa della Lega di Salvini non è un’eccezionalità scandalosa e incomprensibile nella regione che ha le Caritas più attive d’Italia, i comboniani battaglieri araldi di pace presenti in mezzo mondo, il Cuamm di Padova fiore all’occhiello della cooperazione allo sviluppo. E forse convincersi anche che la traversata del deserto non è solo compito di un Pd veneto ridotto al lumicino, ma pure la vocazione costitutiva di chi ha un Dio crocifisso come modello.