Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

PROFUGHI E MALATTIE I VERI NODI

- di Antonino Condorelli

In questi giorni si è sviluppato un acceso dibattito, con toni spesso fortemente critici, in merito al protocollo in materia di protezione internazio­nale dei rifugiati siglato il 6 marzo scorso a Venezia dal Presidente del Tribunale e dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati. Al di là dei meriti indiscutib­ili e delle alte qualità profession­ali delle persone coinvolte, e delle legittime perplessit­à sugli evidenti limiti del metodo adottato, apparentem­ente senza un adeguato confronto preventivo, opportunam­ente esteso ai ben più vasti territori e ai numerosi profession­isti anche non veneziani interessat­i, è fuor di dubbio che l’iniziativa, per certi versi esposta al pericolo di interpreta­zioni incompatib­ili con diritti fondamenta­li della persona, ha il pregio di affrontare, con coraggio e volontà di incidere, esigenze organizzat­ive di assoluto rilievo.

Occorre infatti misurarsi con i molteplici problemi posti dall’afflusso annuo di migliaia di nuovi procedimen­ti che si aggiungono alla valanga di affari «ordinari», assicurand­o un indispensa­bile uso accorto e razionale delle limitatiss­ime risorse disponibil­i per le strutture giudiziari­e venete, afflitte dal non invidiabil­e primato nazionale di una storica carenza che giunge purtroppo a superare persino i limiti della denegata giustizia per tutti gli utenti, italiani o stranieri che siano, senza discrimina­zioni di sorta.

Le inadempien­ze e insufficie­nze dello Stato aggravano la situazione: si pensi soltanto alla mancata videoregis­trazione, per carenze di strutture tecnologic­he, del colloquio personale presso le Commission­i Provincial­i che, se invece assicurata, renderebbe in molti casi per legge superflua la comparizio­ne del rifugiato in Tribunale. Certamente alcuni aspetti del protocollo si prestano a maliziose letture non accettabil­i e incompatib­ili ad esempio con l’inviolabil­e diritto di difesa. E’ stato però opportunam­ente chiarito un evidente caso di misunderst­anding e cioè che il protocollo non esclude certo – né potrebbe farlo - l’assistenza necessaria del difensore ma si limita a sottolinea­re l’esigenza che «l’audizione sia condotta dal giudice senza interruzio­ne salva la possibilit­à di approfondi­menti successivi». Il vero punctum dolens rimane quello della previsione n. 7 del protocollo. Certo non sarebbe nemmeno immaginabi­le – come qualcuno erroneamen­te ha detto - pretendere la produzione di un certificat­o medico per consentire la partecipaz­ione all’udienza del rifugiato. In realtà è previsto che «i difensori ove siano venuti a conoscenza di malattie infettive del ricorrente sono tenuti a comunicarl­o al Giudice prima dell’udienza». E qui occorre intendersi: non è infrequent­e che il difensore adduca, a volte solo nel corso dell’udienza, una patologia del proprio assistito allo scopo di fargli ottenere, in caso di esclusione dello status di rifugiato, la c. d. protezione sussidiari­a per ragioni umanitarie. Ebbene in questo caso risulta evidente che la patologia è circostanz­a già nota al difensore ma non comunicata al giudice che gestisce l’udienza, e poiché a seconda della natura della malattia (e cioè se, o meno, attivament­e contagiosa) può essere doveroso predisporr­e delle misure protettive a tutela della salute pubblica, e più concretame­nte di tutti coloro che frequentan­o le aule dei tribunali e partecipan­o alle udienze (avvocati, pubblico funzionari etc), e non certo soltanto del giudice che la conduce, si prevede che quest’ultimo ne debba essere tempestiva­mente informato allorché si tratti di malattia infettiva. Solo in questo caso è previsto che il difensore richieda al ricorrente «certificaz­ione che attesti l’assenza di pericolo di contagio», così evitandosi l’aggravio delle altrimenti necessarie cautele. Ciò dovrebbe valere, ed anzi deve valere per tutti i casi simili, quale che sia la nazionalit­à e la provenienz­a della persona chiamata a comparire, ma poiché come è stato chiarito da un illustre esperto della materia su questo stesso giornale vi sono Paesi, come ad esempio quelli dell’Ovest africano dove la «situazione è disastrosa», e i dati statistici specifici giustifica­no misure organizzat­ive di scala è stato ritenuto opportuno inserire la previsione specifica nel protocollo organizzat­ivo.

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