Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Già più di mille i veneti con testamento biologico «Ma siamo agli albori»
La morte di Lodino Marton, il 65enne padovano malato di Sla che ha optato per la sedazione profonda dopo aver affidato all’associazione Dignitas la redazione del suo testamento biologico, riporta alla luce il tema del fine vita. Nel Veneto sono oltre mille le «Disposizioni anticipate di trattamento» depositate nei Comuni che ne hanno istituito il registro. Cioè Venezia, che ne conta il maggior numero (oltre 400), Treviso (250), Padova (73), Belluno, Verona, Marcon, Mirano, Mira, Spinea, Vicenza, San Stino di Livenza, Vigonza, Rosolina, Rovigo, Occhiobello e Valdagno. Altre Dat sono state affidate a notai, avvocati e strutture come «Cura con Cura», la società di infermieri che ha assistito Dino Bettamin, il macellaio di Montebelluna ucciso dalla Sla nel febbraio 2017, a 70 anni, dopo aver ottenuto la sedazione profonda. Altri quattro pazienti seguiti dalla stessa associazione hanno chiesto l’interruzione delle cure quando la malattia entrerà nella fase più critica.
«La legge sul Testamento Biologico sta aiutando le persone a riappropriarsi delle scelte sulla propria esistenza, comprese quelle sul fine vita — dice Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, alla quale Marton si era rivolto per chiedere informazioni, fornite da Marco Cappato —. E’ necessario vigilare sulla sua piena e corretta applicazione in tutta Italia, ancora poche persone conoscono i loro diritti su questo fronte. Abbiamo redatto una denuncia scaricabile dal sito associazionelucacoscioni.it da utilizzare quando i Comuni dichiarano di non poter accettare le Dat, contrariamente a quanto previsto dalla legge in vigore dal 31 gennaio scorso. Entro il primo aprile il ministero della Salute, le Regioni e le aziende sanitarie devono pubblicare o informare la popolazione sulle modalità di redazione delle stesse».
«Siamo agli albori — rivela il dottor Cosimo De Chirico, responsabile del Nucleo cure palliative dell’Usl 2 Marca Trevigiana, che segue 10-15 nuovi casi di malati di Sla all’anno —. La pianificazione delle terapie è già condivisa tra medico e paziente, ma a voce. Fa parte del nostro codice deontologico spiegare bene al malato a cosa va incontro, come evolverà la patologia e chiedergli cosa intenda fare quando diventi necessario un intervento invasivo. Naturalmente se ne parla quando il paziente è ancora cosciente e di solito chi soffre di Sla rifiuta la tracheotomia. Molti chiedono invece la sedazione, ormai è una pratica vecchia, contemplata in un documento pubblicato dieci anni fa dalla Società italiana di cure palliative».
I veneti con malattie neuromuscolari sono tremila, 120 dei quali seguiti dalla Clinica Neurologica dell’Azienda ospedaliera di Padova, riferimento regionale. «Da sempre i pazienti vengono accompagnati fino alla fine — spiega il primario, dottor Gianni Sorarù —. Prima di arrivare alla fase critica della malattia hanno già espresso le loro volontà a voce. Finora non abbiamo ricevuto testamenti biologici, non sapevo nulla nemmeno di quello di Marton».