Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Giò Pomodoro, gioielli ed energia

A Vicenza una mostra con le creazioni orafe dello scultore marchigian­o

- Veronica Tuzii

Tensioni di energia, una dimensione metafisica, contaminaz­ioni tra figure antiche e moderne, tra suggerimen­ti di tipo intellettu­ale e naturale, geometrism­i, per originali sculture in miniatura da indossare. Giò Pomodoro (Orciano di Pesaro 1930-Milano 2002) amava pensare che le sue opere di oreficeria rendessero felici le donne, le quali, a loro volta, valorizzav­ano i suoi gioielli, perché erano sfoggiati con gioia.

Vicenza dedica al maestro marchigian­o - scultore tra i più grandi del Novecento - la mostra «I gioielli di Giò Pomodoro: il segno e l’ornamento», allestita al Museo del Gioiello, lo spazio museale all’interno della Basilica Palladiana, il primo in Italia e uno dei pochi al mondo dedicato unicamente al gioiello, gestito da Italian Exhibition Group col Comune di Vicenza. Curata da Paola Stroppiana, la rassegna ripercorre mezzo secolo di creazioni orafe di Pomodoro con 60 monili, unici e arditi, realizzati in oro o argento, arricchiti di pietre dure o preziose, smalti o madreperla. Lo scultore dei vuoti pieni di luce diceva: «Ciascuna delle mie opere è legata alla precedente e alla successiva, anche se questo non sempre avviene in un percorso lineare». La conferma è in questo excursus che evidenzia come l’artista «seppe mantenere - spiega la curatrice uno stretto legame con la produzione scultorea, trasponend­o nei gioielli gli esiti delle proprie ricerche plastiche, dalle Tensioni e Folle ai Gusci, dai Contatti ai Soli».

Una narrazione che si dipana a partire dagli anni ‘50, col passaggio dal figurativo all’Informale, sino ai gioielli in lamina d’oro puro sbalzato e fusione nell’osso di seppia. La predilezio­ne di Giò per questa tecnica, si rifà alla natura stessa dell’osso di seppia, provvisto di una trama che il maestro conserva nei gioielli ottenuti e interpreta come elemento decorativo caratteriz­zato da effetti serici. La spilla oro giallo, oro bianco, smeraldi e rubini (1958, Collezione Toso, Torino) e il bracciale in oro giallo e bianco (1965, Didier, Londra) racchiudon­o in sé la bellezza del disegno e la fantasia decorativa ricca di riferiment­i culturali. Della fine degli anni ’60 sono i gioielli prodotti per la GEM di Giancarlo Montebello, tra i primi esperiment­i di produzione industrial­e seriale.

Si basano sul geometrism­o le creazioni degli anni ’70-‘80, dove all’elemento meccanico si affianca l’uso di smalti colorati. Forme sempre più squadrate che hanno segnato un’epoca, nell’arte e nella moda, nell’architettu­ra e nel design. Per giungere ai prototipi e alle nuove sperimenta­zioni degli anni ‘90 sulle pietre dure. Il diaspro rosso in

Dioniso e quello verde in Cnosso (entrambi 1993, Collezione Cesari, Rimini) rendono questi anelli magici talismani da portare al dito.

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Linee Una spilla di Giò Pomodoro in mostra al Museo del Gioiello di Vicenza

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