Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Veneto Banca, «L’insolvenza non c’era»
Nuove memorie, poi la decisione il 19 aprile. Il pm De Bortoli attende: «Il faro è il deficit patrimoniale»
«Veneto Banca, dai bilanci depositati al 25 giugno 2017, non risultava insolvente». I tempi sono stretti, i protagonisti han fretta di lasciare il tribunale di Treviso. Ma è chiaro che lo scontro intorno alla dichiarazione di stato d’insolvenza di Veneto Banca chiesta dal sostituto procuratore Massimo De Bortoli - come passo per allargare il troncone trevigiano d’inchiesta al reato di bancarotta - apertosi ieri davanti al giudice Antonello Fabbro, presidente della sezione fallimentare, è entrato nel vivo. Lo si capisce dalle poche dichiarazioni al termine dell’udienza, nell’aula C al primo piano del Palazzo di giustizia, andata avanti ieri mattina per oltre due ore.
Come quelle di Giuliana Scognamiglio, uno dei tre commissari liquidatori di Veneto Banca, presentatasi insieme ai colleghi Alessandro Leproux e Fabrizio Viola. «Lasciamo fare alla magistratura», glissa all’uscita il manager, nella scomoda posizione di trovarsi da liquidatore a discutere di cose che toccano l’ultima gestione, nella quale era stato chiamato dal Fondo Atlante a guidare il progetto di fusione Bpvi-Veneto Banca naufragato a metà 2017.
La Scognamiglio invece, già nota per aver esposto dati di rilievo, a dicembre, nella commissione parlamentare banca (come gli 800 milioni di crediti deteriorati riportati in bonis), concede l’aspetto decisivo: «Liquidazione coatta non significa insolvenza». Valutazione compiuta sulla situazione contabile alla data di liquidazione, presentata al giudice Fabbro sulla base dei dati della due diligence a tre TesoroLca-Intesa chiusa a inizio anno. Dati che si sovrappongono a quelli della memoria fatta arrivare da Banca d’Italia.
Che insolvenza non vi fosse è anche la tesi che sostiene l’ultimo cda di Veneto Banca, costituitosi nel procedimento in contrasto alla tesi della procura. Se fosse confermata dal tribunale, determinerebbe non pochi rischi per l’ultimo board. Ieri in tribunale l’unico a presentarsi è stato l’ultimo presidente di Montebelluna, Massimo Lanza, difeso dall’avvocato Lorenzo Stanghellini, uno dei massimi esperti in materia. Lanza, loden verde e trolley, dribbla i giornalisti all’uscita. Stanghellini invece ricapitola i punti sostanziali della memoria presentata al tribunale, in cui contesta la ricostruzione della procura. A partire dalla mancanza di patrimonio come fattore decisivo per l’insolvenza: «Lo è solo se il valore netto è negativo. Come qui non è, visto il contributo di Atlante che ha messo quasi 1,7 miliardi con le ricapitalizzazioni. La Bce dice a giugno che mancano i requisiti patrimoniali minimi; che sono però ben più alti di zero: non si può concludere che si fosse insolventi. Purtroppo i soldi persi dai risparmiatori sono un dramma. Ma per ultimo li ha persi anche Atlante». E la ricapitalizzazione precauzionale? «Come nel caso di Mps, era stata chiesta di fronte ad uno stress test che evidenziava una carenza di capitale in prospettiva». La conclusione a cui arriva Stanghellini è chiara: a metà giugno c’era una situazione di rischio dissesto, con cui Bce stacca la spina attraverso la liquidazione; ma non un rischio immediato d’insolvenza, intesa come incapacità immediata di far fronte agli obblighi di pagare: «Esattamente. E le due condizioni sono diverse». Tanto che nella memoria Stanghellini dice che a fine giugno c’è ancora un patrimonio di 1,6 miliardi che garantisce «un’ampia possibilità di emettere obbligazioni garantite dallo Stato». L’avvocato invece, sostiene che un’eventuale dichiarazione di dissesto non avrebbe conseguenze sul contratto di cessione della parte «buona» a Intesa o sui crediti che la liquidazione ha fatto transitare alla Sga.
Dopo l’udienza di ieri ora Stanghellini e i liquidatori depositeranno ulteriori memorie entro il 6 e il 16 aprile. L’ulteriore udienza invece il 19 aprile. Attesa come quella decisiva.
E la procura? Il sostituto De Bortoli mantiene la calma e pare quasi attendere al varco la linea opposta alla sua, che punta sulla distinzione netta tra dissesto e insolvenza. E dà una lettura che punta sulla sostanza: «Il faro è la cassazione», dice il magistrato, riferendosi alla sentenza sul crac del credito cooperativo di Aversa: «Lì il deficit patrimoniale è al centro rispetto al venir meno delle condizioni operative della banca». E nel caso di Veneto Banca, per De Bortoli, il quadro è di una debolezza complessiva giunta al punto decisivo, che non può esser sottovalutata a colpi di distinguo. Al «vedo» mancano poco più di venti giorni.