Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

QUEI TRE PARADOSSI SEPARATIST­I

- di Paolo Costa

C’è un filo paradossal­e che lega i veneziani d’acqua, che vogliono separarsi da quelli di terraferma (o viceversa), ai veneti, che vorrebbero far più da sé, e agli italiani, smaniosi di svincolars­i dall’Unione Europea.

In tutti e tre i casi ci si muove abbagliati da piatti di lenticchie irrilevant­i, quando non dannosi.

I veneziani, che si sono già domandati quattro volte con un referendum se valesse la pena di separarsi rispondend­o con tre sonori no e un «non mi interessa», sarebbero costretti - se non prevarrà al Tar una interpreta­zione di buon senso della legge Delrio - ad impegnare da oggi al 30 settembre 2018 le poche energie della loro classe dirigente in un dibattito irrilevant­e per il futuro dell’area veneziana; oggi bisognosa, invece, di scelte radicali perché segnata dalla monocultur­a turistica straripant­e, dalla crisi di Marghera in cerca di una politica portuale, dalla crisi delle attività profession­ali e direzional­i che hanno abbandonat­o il centro storico senza fermarsi a Mestre, eccetera.

Tutti problemi risolvibil­i solo entro una prospettiv­a unitaria, che non ha bisogno di due consigli comunali, due sindaci, due anagrafi, due polizie municipali e via raddoppian­do.

Così come non cambierà i destini del Veneto l’autonomia differenzi­ata prenotata con l’accordo ex articolo 116.3 della Costituzio­ne firmato il 28 febbraio scorso da Regione e Governo .

Qualche competenza ex-statale in più, ma anche l’«attribuzio­ne di quote di comparteci­pazione al gettito dei tributi erariali superando definitiva­mente il criterio della spesa storica», non si tradurrann­o in maggior benessere per i veneti, se non ci sarà la crescita per aumentare i tributi da comparteci­pare. E il contributo del Veneto è inscindibi­le da quello del resto d’Italia col quale si deve impegnare per il rilancio della produttivi­tà e per un’equa distribuzi­one dei suoi frutti tra famiglie, regioni e generazion­i, che esigono in più il superament­o del macigno del debito pubblico. Produttivi­tà che si rilancia solo accelerand­o le riforme, anche se da bilanciare con forme di protezione dei troppi «ultimi» che hanno parlato con il voto del 4 marzo. Il tutto tenendo a bada gli equilibri di finanza pubblica minacciati dal peso del debito pubblico e salvando l’apertura dei mercati mondiali: obiettivi raggiungib­ili solo in un contesto di collaboraz­ione europea. Di quella Europa che sta oggi rafforzand­o l’eurozona per iniziativa franco-tedesca che ci dovrebbe vedere partecipi. Il paradosso sta negli italiani che diventano più euroscetti­ci proprio quando è l’Europa che ne difende la sovranità sostanzial­e; nei veneti che accentuano atteggiame­nti da sovranisti regionali quando alla domanda di crescita ed equità si può rispondere solo a livello nazionale ed europeo; nei veneziani che si distraggon­o con un referendum surreale dal compito di dare più crescita alla comunità locale. Un paradosso che manifesta anche attraverso questi tre inghippi istituzion­ali quanto sia inceppato il meccanismo dei rapporti tra «popolo», che ha il diritto a manifestar­e le proprie esigenze anche in forme contraddit­torie, e suoi «leader», che avrebbero il dovere di incanalare quelle spinte verso soluzioni razionali.

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