Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
QUEI TRE PARADOSSI SEPARATISTI
C’è un filo paradossale che lega i veneziani d’acqua, che vogliono separarsi da quelli di terraferma (o viceversa), ai veneti, che vorrebbero far più da sé, e agli italiani, smaniosi di svincolarsi dall’Unione Europea.
In tutti e tre i casi ci si muove abbagliati da piatti di lenticchie irrilevanti, quando non dannosi.
I veneziani, che si sono già domandati quattro volte con un referendum se valesse la pena di separarsi rispondendo con tre sonori no e un «non mi interessa», sarebbero costretti - se non prevarrà al Tar una interpretazione di buon senso della legge Delrio - ad impegnare da oggi al 30 settembre 2018 le poche energie della loro classe dirigente in un dibattito irrilevante per il futuro dell’area veneziana; oggi bisognosa, invece, di scelte radicali perché segnata dalla monocultura turistica straripante, dalla crisi di Marghera in cerca di una politica portuale, dalla crisi delle attività professionali e direzionali che hanno abbandonato il centro storico senza fermarsi a Mestre, eccetera.
Tutti problemi risolvibili solo entro una prospettiva unitaria, che non ha bisogno di due consigli comunali, due sindaci, due anagrafi, due polizie municipali e via raddoppiando.
Così come non cambierà i destini del Veneto l’autonomia differenziata prenotata con l’accordo ex articolo 116.3 della Costituzione firmato il 28 febbraio scorso da Regione e Governo .
Qualche competenza ex-statale in più, ma anche l’«attribuzione di quote di compartecipazione al gettito dei tributi erariali superando definitivamente il criterio della spesa storica», non si tradurranno in maggior benessere per i veneti, se non ci sarà la crescita per aumentare i tributi da compartecipare. E il contributo del Veneto è inscindibile da quello del resto d’Italia col quale si deve impegnare per il rilancio della produttività e per un’equa distribuzione dei suoi frutti tra famiglie, regioni e generazioni, che esigono in più il superamento del macigno del debito pubblico. Produttività che si rilancia solo accelerando le riforme, anche se da bilanciare con forme di protezione dei troppi «ultimi» che hanno parlato con il voto del 4 marzo. Il tutto tenendo a bada gli equilibri di finanza pubblica minacciati dal peso del debito pubblico e salvando l’apertura dei mercati mondiali: obiettivi raggiungibili solo in un contesto di collaborazione europea. Di quella Europa che sta oggi rafforzando l’eurozona per iniziativa franco-tedesca che ci dovrebbe vedere partecipi. Il paradosso sta negli italiani che diventano più euroscettici proprio quando è l’Europa che ne difende la sovranità sostanziale; nei veneti che accentuano atteggiamenti da sovranisti regionali quando alla domanda di crescita ed equità si può rispondere solo a livello nazionale ed europeo; nei veneziani che si distraggono con un referendum surreale dal compito di dare più crescita alla comunità locale. Un paradosso che manifesta anche attraverso questi tre inghippi istituzionali quanto sia inceppato il meccanismo dei rapporti tra «popolo», che ha il diritto a manifestare le proprie esigenze anche in forme contraddittorie, e suoi «leader», che avrebbero il dovere di incanalare quelle spinte verso soluzioni razionali.