Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Ernest e Adriana il romanzo di un incontro
In «Autunno a Venezia» retroscena, incontri e viaggi con stile leggero Il libro Di Robilant racconta la relazione Hemingway-Ivancich
Nell’autunno del 1948 Ernest Hemingway aveva quasi cinquant’anni e una carriera letteraria già leggendaria, che però rischiava di assomigliare a quella di una leggenda del passato. Era l’autore di Addio alle armi, tanto per dire, o di Morte nel
pomeriggio, ma da otto anni non pubblicava un romanzo -
Per chi suona la campana era uscito nel ’40 -, la curiosità della critica era tutta per le giovani promesse del dopoguerra, e classici come Il vecchio e il mare e Festa mobile, oltre al Nobel per la letteratura, dovevano ancora arrivare. A dire il vero, nessuno immaginava che sarebbero mai arrivati, a cominciare da Hemingway stesso. Eppure, se Ernest fu più fortunato del suo amico Francis Scott Fitzgerald, che morì controvento rispetto alla moda, in un’epoca irriconoscente del suo talento e ansiosa di scrollarsi di dosso l’età del jazz, ignaro della celebrazione postuma che si sarebbe fatta dei suoi libri, è forse anche perché quell’anno «Papa» conobbe una giovanissima veneziana che fu la sua ultima inaspettata Musa.
Si chiamava Adriana Ivancich, aveva solo diciotto anni e Hemingway la incontrò per la prima volta durante una caccia alle anatre nella laguna di Caorle, all’inizio di dicembre. Gli Ivancich, originari di Lussino, si erano trasferiti a Venezia a fine Settecento, e Adriana, molto bella e seducente, dai capelli scuri e dalla vita stretta, abitava ancora, con la madre da poco vedova, nell’antico palazzo di famiglia in calle del Remedio. Hemingway se ne innamorò fin dal primo momento che la ragazza si sedette sul sedile posteriore della sua vecchia Buick. Era tutta intirizzita. Papa si girò per offrirle un sorso di whisky per scaldarsi. Lei rifiutò con garbo. Era l’inizio di una lunga, complicata storia d’amore - i due già la sera dopo cenavano da soli all’Harry’s Bar -, che si svolse nonostante il quarto matrimonio di Hemingway con Mary Welsch, e i cui dettagli dobbiamo a un libro scritto con eccellente cura, con un approccio lieve, leggiadro e insieme serio e documentato: Autunno a Venezia (Corbaccio, 266 p.), di Andrea di Robilant. Di viaggi, viaggiatori e soprattutto di Ve- nezia di Robilant è raffinato esperto: ha scritto tra gli altri
Irresistibile Nord e Un amore veneziano, sempre con Corbaccio. Questa volta aggiunge alla ricostruzione la memoria personale, avendo conosciuto Adriana da ragazzo, come amico di famiglia, e avendo saputo dal fratello di quest’ultima, molti anni dopo la sua morte, dell’esistenza del carteggio personale tra i due amanti.
Leggendolo, di Robilant ha potuto ripercorrere quasi giorno per giorno gli spostamenti di Hemingway tra Venezia, il Friuli e Cortina d’Ampezzo, dando vita a un racconto estremamente vivido. Fu una relazione anche fisica o «una cosa sagrada», come disse lo stesso Hemingway,
essenzialmente casta, che andava protetta e custodita? L’autore propende più per la seconda ipotesi. Ma quel che è rilevante, al di là dei pettegolezzi, è che Adriana «divenne la sua musa ispiratrice. La sua presenza fu per lui una fonte di gioia, di rinnovata giovinezza, e una forza propulsiva per una nuova stagione creativa».
La relazione fu la scintilla per scrivere, in parte a Venezia e in parte a Cortina, tra l’Hotel Posta, il Concordia e una casetta che Ernest e Mary avevano preso in affitto per l’inverno, Di là dal fiume e tra gli alberi, un libro eterodosso, risposta dello scrittore ai romanzi della nuova generazione americana, in cui il personaggio di Renata è l’alter ego di Adriana. Cortina, luogo di buonumore per Ernest, era nel ’49 molto diversa da oggi, ovviamente, ma regolata dagli stessi identici meccanismi: i pranzi, le colazioni, le cene sono un’allegra, ossessiva giravolta continua di contatti, incontri, relazioni. Arriva Fernanda Pivano, con Ettore Sottsass naturalmente, e ripartono Alberto e Virginia Mondadori; si affaccia Pasquale Squitieri e compaiono i Fürstenberg; seguiti dai Windisch-Graetz, poi dalla contessa Teresa Viola di Campalto, e da Carlo di Robilant, compagno di bevute di Ernest all’Harry’s Bar (e prozio dell’autore). Ogni capoverso del libro è letteralmente innaffiato dall’alcol. «Breve pit stop per un aperitivo in piazza». «I drink erano ottimi, i tramezzini squisiti». «Si sentì talmente a proprio agio che si mise subito dietro il bancone a preparare i Martini». «I passeggeri cantavano passandosi l’un l’altro una bottiglia di rum». «Fiumi di vino e di grappa scorrevano fino a tarda notte». (Stiamo aprendo a caso, da pagina 35 in avanti). Sì, anche qui è sicuramente Hemingway.