Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Via le mani di Venezia Guggenheim le vuole a NY
Ultimatum all’opera di Quinn. Sgarbi: «Giusto». E intanto si fa già avanti New York
Sono piaciute a tutti, nessuno escluso, veneziani e turisti, un successo quasi sorprendente in una città come Venezia dove spesso le novità, specie se artistiche, suscitano perplessità e attraggono, di solito, una montagna di critiche. Ma non quelle due mani («Support» il nome della scultura) che emergono del Canal Grande a sostegno dell’hotel Ca’Sagredo: l’apprezzamento è stato corale tanto che sono comparse 230 milioni di fotografie sui social.
Ora la scultura di Lorenzo Quinn - figlio dell’Anthony attore hollywoodiano - dovrà essere rimossa, il 30 aprile. L’installazione, evento collaterale della Biennale d’arte del 2017, è nata come temporanea e dopo due proroghe la Sovrintendenza ha detto «basta». L’artista spera che le sue mani possano restare a Venezia, anche se la Fondazione Guggenheim di New York si è già fatta avanti, interessata a esporle sulla Quinta strada, nel museo - ironia della sorte - costruito da quel Frank Lloyd Wright che avrebbe voluto realizzare un palazzo sul Canal Grande che non vide mai la luce, proprio per la ritrosia dei veneziani alle novità.
Quinn, alla notizia che le sue mani dovranno lasciare Ca’ Sagredo, non ha battuto ciglio e in un video lascia un messaggio d’affetto per la laguna. «Voglio ringraziare quanti sono stati coinvolti in questo incredibile progetto dice - Halcyon Gallery, il sindaco Luigi Brugnaro e le autorità locali, l’hotel Ca’ Sagredo, gli ingegneri e gli architetti, il mio ufficio e tutti voi che avete condiviso e continuate a condividere quest’immagine nel mondo».
«Support è stata installata lo scorso maggio «e il periodo di installazione - prosegue l’artista - è stato prorogato grazie alle autorità locali per l’incredibile attenzione che l’opera ha ricevuto, ma questa meravigliosa città non ha bisogno delle mie mani per accrescere la sua bellezza, sarò per sempre felice e grato di aver avuto la possibilità di realizzare questo sogno. Nella speranza che queste mani trovino una casa permanente a Venezia quale simbolo di protezione del nostro patrimonio mondiale e futuro: grazie».
La decisione di Palazzo Ducale riaccende il dibattito sulle installazioni nei campi e nei palazzi della città. Il critico d’arte Philippe Daverio non ha dubbi: «Non vado pazzo per le sculture ma mi oppongo al diritto di veto delle Soprintendenze - tuona - specie adesso che non c’è nemmeno un Ministro, è una questione di principio: le Soprintendenze accreditano restauri vergognosi e mostrano incapacità di controllo del territorio. Il sindaco crei una commissione per il decoro urbano che estrometta questi funzionari, sono disponibile a collaborare gratis».
Di tutt’altro avviso un altro critico, ed ex sovrintendente, Vittorio Sgarbi: «C’è una legge (il codice dei beni culturali, ndr) ed è inequivocabile: tutto ciò che è temporaneo deve restare tale. Se proprio, si spostino le mani sopra quell’orrido “cubo” (l’hotel,
ndr) di piazzale Roma, un’area degradata dove non creano fastidi». Sgarbi benedice la decisione di liberare il Canal Grande e aggiunge: «A Padova, vincolando il Catajo, la Soprintendenza ha compiuto un gesto straordinario».
Di esempi simili alle mani di Quinn, Venezia è piena. Qualche anno fa, dopo una sollevazione popolare con tanto di petizioni, fu rimossa la statua di Charles Ray «Il ragazzo con la rana» da Punta della Dogana e prima ancora un’altra mano, «Stone sculpture of hand» di Gavin Hellier, dopo la Biennale, fu spostata da riva degli Schiavoni all’esterno del parco scientifico Vega a Marghera. «Ci sono anche le “Ali” di Massimo Scolari (Biennale 1991, ndr), le ho recuperate sul tetto del Cotonificio a Santa Marta - ricorda Marino Folin, ex rettore di Iuav - o “Teatro del mondo” di Aldo Rossi. La questione è complessa, io sono perché le opere d’arte contemporanea restino esposte ma chi è che decide quali tenere? È venuta meno la capacità di valutazione condivisa e la Soprintendenza non può che agire come ha fatto».
Anche Angela Vettese, direttore del corso di laurea Arti visive a Iuav, è favorevole alla disseminazione d’opere a Venezia ma a una condizione: «Che siano sempre temporanee, un’opera fissa diventa monumento e deve nascere con questo spirito».