Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Tragedia sull’Antelao, oggi l’addio a Enrico e Alessandro

Funerale unico a Domegge, bare portate dai colleghi del Soccorso Alpino

- di Davide Piol

Chi ha voluto dare un ultimo saluto ieri a Enrico Frescura e ad Alessandro Marengon, i giovani alpinisti del Soccorso alpino morti martedì mattina sull’Antelao, l’ha fatto in punta di piedi nella camera ardente dell’ospedale di Pieve di Cadore. Tanti giovani, tante lacrime. E un sorriso spezzato dal ricordo di momenti passati insieme e dalla loro straordina­ria energia.

Alle 15 di oggi si svolgerà un unico funerale nella chiesa di San Giorgio, a Domegge di Cadore. Un corteo partirà a piedi dalla casa dei genitori di Marengon, che si trova a pochi metri dal municipio di Domegge. L’altro da Pieve di Cadore. S’incontrera­nno nella piazza di San Giorgio, davanti alla chiesa. Le due bare saranno sorrette e trasportat­e dagli amici del Soccorso alpino. «Si fa fatica ad accettare momenti come questi, che creano un po’ di disorienta­mento nella comunità — dice don Simone, parroco di Domegge —. Erano ragazzi conosciuti, in gamba, buoni e generosi. Io sono qui da quattro anni. Non ho avuto occasione di averli a catechismo. Però li conoscevo. Andavo a benedire le case. La famiglia di Alessandro è molto collaborat­iva in parrocchia. La zia fa la catechista, il papà è negli alpini. Mi capitava di vederlo. Enrico invece l’avevo visto anche una settimana fa. Sabato scorso abbiamo celebrato il funerale del nonno a cui era molto legato. Aveva 101 anni». Il sindaco di Domegge, Lino Fedon, parla di un paese sotto choc: «Alessandro abitava a poche decine di metri dal municipio, lo vedevo passare spesso o partire la sera per andare a correre. Enrico non l’avevo mai visto. Ma erano conosciuti, stimati e benvoluti. I messaggi di affetto sui social ne sono una testimonia­nza».

Frescura e Marengon, 30 e 28 anni, si erano svegliati all’alba di martedì per raggiunger­e la cima dell’Antelao. Doveva essere un’escursione veloce da finire nel primo pomeriggio. Alle 8.15, ormai alla fine del canale Oppel, erano scivolati e precipitat­i nel vuoto, fermandosi alcune centinaia di metri più in basso. Quattro alpinisti torinesi che stavano percorrend­o la stessa via se li sono visti precipitar­e accanto e hanno dato l’allarme. Mercoledì hanno inviato al Soccorso alpino una foto dei due bellunesi mentre arrampicav­ano. È l’ultima immagine, prima della caduta, che ritrae i due giovani vivi. «Non hanno sbagliato nulla, sono andati dietro al loro sogno e sono morti». Mauro Corona, famoso scrittore e alpinista di Erto e Casso, li conosceva di vista: «La dinamica non è importante. Sarà venuta giù una scarica di sassi o è scivolato uno tirando giù l’altro. Bisogna ricordarli per il sogno che inseguivan­o. Non si può sempre criminaliz­zare la montagna o dire che le persone mettono a rischio la loro vita. Ci sono ragazzi che si fanno gli spinelli o le canne. Questi inseguivan­o il loro entusiasmo, la luce delle altezze, un’avventura di salita e discesa. Mi dispiace molto».

In questi giorni l’altoatesin­o Reinhold Messner ha lanciato la proposta di chiudere i passi dolomitici dalle 10 alle 16, per «canalizzar­e» il turismo. «Le montagne — ha spiegato — richiedono silenzio, rallentame­nto e un paesaggio incontamin­ato». Ribatte Corona: «Chiudere a chi? Ognuno ha il diritto di vivere la montagna. Bisogna educare i bambini già nelle scuole. Abituarli al silenzio e alle camminate. Il problema è come si va in montagna. Se cominciamo a fare selezione anche qui, non è più finita».

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Le vittime Sopra l’Antelao, luogo della tragedia. Dall’alto Enrico Frescura e Alessandro Marengon
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