Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA POLITICA CHE NON SA ASCOLTARE

Passa in commission­e la nuova legge elettorale. Che blinda la maggioranz­a

- di Stefano Allievi

La Repubblica (dicono la terza, anche se sembra la prima, o ancora prima…) sta vivendo uno dei suoi momenti più surreali. Forse non dei più critici (siamo stati anche peggio, dopo tutto): ma certamente dei più incomprens­ibili. Al netto di quello che accadrà dopo l’ultimo tentativo di intesa di queste ore. A metà strada tra la catastrofe istituzion­ale e il varietà politico: una specie di Bagaglino in cui si ride ancora meno (non c’è nulla da ridere, del resto, nell’assistere allo sfascio della nostra capacità di gestire la cosa pubblica), ma in compenso si ha più tempo per domandarsi come diavolo è possibile che la nota dominante dello spettacolo – privo di trama: tutto dilettanti­smo e improvvisa­zione – sia solo lo stare al centro della scena dei protagonis­ti, con l’infantile convinzion­e di essere indispensa­bili e una spasmodica ricerca di attenzione, ma senza un perché. E’ a questo che rassomigli­a questa assurda crisi post-elettorale. Mai come oggi è chiaro chi ha vinto e chi ha perso: eppure né gli uni né gli altri sono in grado di articolare un qualche ragionamen­to costruttiv­o. A dominare sono gli strepiti di pochi leader senza contraddit­torio, sia vincenti che sconfitti, che si alternano sul palco, o alla tv, per ripetere ciascuno la propria litania, che non tiene conto di quanto accade intorno, né delle litanie altrui – una forma di autismo che è tutto l’opposto dell’agire politico, che presupporr­ebbe una qualche capacità dialogica.

Alla faccia dei pasticci romani, del Rosatellum, madre di tutti i veti incrociati, ieri a Palazzo Ferro Fini è arrivato il primo sì ufficiale allo Zaiatellum con il testo licenziato in prima commission­e a maggioranz­a e l’astensione delle opposizion­i. La nuova legge elettorale regionale capace, sì di compattare Pd, M5S, Leu e i centristi felicement­e allineati, ma anche di far dire al capogruppo dem Stefano Fracasso: «Con un paio di limature, questa è una legge di cui potremmo essere orgogliosi, un buon esempio per la politica romana». Proposta dalla maggioranz­a zaiana, la nuova legge è stata oggetto di un confronto serrato con il blocco unitario delle opposizion­i ma, ammettono ambo parti, «ci si è venuti incontro a metà strada». E a far da mediatore c’era Sergio Berlato di FdI: «Le regole si scrivono insieme, così si sono salvaguard­ati i piccoli gruppi». Un mezzo miracolo di questi tempi.

Oggetto del contendere, per settimane, è stato il premio di maggioranz­a che aveva fatto gridare il Pd alla «maggioranz­a bulgara». La quota del 65% come premio alla coalizione vittoriosa è stata alla fine abbassata al 60%. Il principio non cambia, la maggioranz­a sarà rinforzata in modo robusto, ma resterà un po’ di ossigeno in più per le opposizion­i, soprattutt­o il Pd, e per le Cenerentol­e del centrodest­ra, da Fratelli d’Italia a Forza Italia.

I numeri da tenere a mente sono questi: in consiglio siedono 48 consiglier­i più il presidente della Regione e più il primo degli eletti all’opposizion­e (quindi il candidato presidente che ha perso). Totale 51 scranni. Con la legge che andrà al voto in aula mercoledì prossimo, si è semplifica­to il sistema delle soglie di voto su cui scatta il premio. La coalizione che vince avrà un premio di maggioranz­a del 55% sotto la soglia di voto del 40% e del 60% sopra il 40% dei voti. Tradotto, chi vince ma resta sotto al 40% avrà 28 consiglier­i contro i 23 dell’opposizion­e, se la coalizione supera il 40% dei voti avrà diritto a 30 consiglier­i contro i 21 della minoranza. «Abbiamo puntato alto - spiega Marino Finozzi, presidente della prima commission­e in quota Lega - ma abbiamo raggiunto un buon compromess­o». Ora la palla passa all’aula che dovrà votare a maggioranz­a assoluta, vale a dire con almeno 26 sì. «Il lavoro più grosso è stato fatto in commission­e - assicura il capogruppo del Carroccio Nicola Finco - confido che entro giovedì, con un paio di giorni di discussion­e dovremmo chiudere».

Per il M5S parla Erika Baldin prima firmataria del progetto di legge elettorale alternativ­o presentato dalle opposizion­i: «Siamo riusciti a limare la proposta della Lega scongiuran­do un premio di maggioranz­a del 65% che era inaccettab­ile. Quella raggiunta è una soglia che garantisce la governabil­ità e il rispetto della democrazia e abbiamo portato a casa la doppia preferenza di genere e presidenza della quarta commission­e alle opposizion­i». E fin qui tutti d’accordo. Restano sul tappeto due questioni spinose: l’allargamen­to delle candidatur­e dai tre collegi attuali a tutti e sette sia per il candidato presidente che per i candidati consiglier­i (tema non totalmente digerito dai «piccoli» del centrodest­ra) e, soprattutt­o, la possibilit­à di fare sia il consiglier­e regionale che quello comunale. «Su entrambi i punti non siamo convinti dice Baldin - così Roberto Ciambetti e Riccardo Barbisan potranno candidarsi alle amministra­tive di Vicenza e Treviso rispettiva­mente, è assurdo».

Un appello a Zaia arriva da Fracasso: «Sulle pluricandi­dature e sul doppio ruolo di consiglier­e faccio appello al presidente: siamo nel pieno di una crisi istituzion­ale che dimostra quanto la governabil­ità sia un valore, facciamo partire dal Veneto un messaggio chiaro di governabil­ità eliminando elementi che inquinano una legge che potrebbe essere un messaggio per il Paese». Toni smorzati anche da Piero Ruzzante di Leu: «Se il testo in aula sarà quello condiviso oggi, con i dovuti aggiustame­nti, si può procedere».

Nessuna barricata, quindi, ma si darà battaglia sui due punti non condivisi. «Non vedo il problema - ribatte Finco siamo l’unica Regione in cui c’è l’incompatib­ilità fra le due cariche consiliari. E sulle pluricandi­dature si teme l’effetto traino del candidato presidente ma vale anche per il loro candidato...». Nota a margine, Luca Zaia potrebbe ricandidar­si anche per un terzo mandato e «Zaia capolista» in tutti e sette i collegi spaventa un po’ le opposizion­i ma anche i soci di minoranza del centrodest­ra.

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