Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Soldi ai terroristi» Tre islamici veneti sotto inchiesta

Le somme destinate ad Al Nusra: legami (presunti) con Vicenza e il Veneziano

- Piva, Zorzi

VENEZIA L’accusa principale: aver finanziato, con trasferime­nti di denaro su scala internazio­nale, il terrorismo in Siria, in particolar­e la formazione jihadista Al Nusra. Due reti di raccolta, gestione e smistament­o di denaro composta da immigrati siriani in Italia con contatti (sempre siriani) in altri Paesi europei e in Turchia, sono state smantellat­e, con 14 arresti in varie regioni, da tre indagini coordinate da Brescia, Sassari e Venezia. Tra gli indagati un operaio con casa nel Vicentino, un impresario di Musile di Piave e un suo amico di Olbia, con casa a San Donà: tutti siriani.

VENEZIA Due piste e tre indagati collegano il Veneto alla doppia maxi inchiesta che ha portato allo scoperto e decapitato con 14 arresti un’organizzaz­ione di cittadini siriani accusata di aver finanziato attività terroristi­che in Siria, nello specifico inviando denaro alla formazione estremista anti governativ­a Al Nusra. Soldi che sarebbero stati in parte riciclati, perché provenient­i dello sfruttamen­to dell’immigrazio­ne clandestin­a lungo la rotta dei Balcani, e in parte reinvestit­i in attività economiche e finanziari­e che, pur lecite, configuran­o il reato di auto riciclaggi­o, di recente conio (appunto poiché la raccolta delle somme, a mo’ di banca, non aveva le autorizzaz­ioni di legge).

Ieri le due indagini parallele della guardia di finanza e dell’anti-terrorismo della polizia sono venute allo scoperto, con l’esecuzione, in più regioni, degli arresti autorizzat­i dai giudici di Brescia e Sassari. In Sardegna, Olbia, e Lombardia, Como e Lecco, i nuclei della doppia rete italiana di immigrati siriani, che aveva in Svezia e Turchia i referenti principali e ramificazi­oni anche in Ungheria. L’ordinanza bresciana contesta agli indagati di aver costruito «un articolato sistema finanziari­o abusivo,noto col nome di “hawala”, conforme ai dettami della legge islamica tradiziona­le, fondato sulla fiducia e... utilizzato dalla comunità musulmana, e nella specie siriana, anche a supporto di attività delittuose», come sarebbe avvenuto in questo caso.

Manaf Kalifeh, 28 anni, siriano, operaio metalmecca­nico con casa nel Vicentino, a Gambuglian­o, da sette mesi, viene indicato come «contabile-cassiere e segretario nella rete» di raccolta, custodia e pagamento di contante, compensazi­one e trasferime­nto di debiti e crediti nonché di intermedia­zione nel cambio di valuta italiana e straniera che aveva in Subhi Chdid, uno degli arrestati, il capofila. Chdid, detto Abu Ali, è sposato con un’italiana, Cristina Agretti, di Colico, Lecco. A Lecco, Ali, ora riparto in Turchia, aveva un’impresa edile. E’ accusato di aver trasferito soldi in Turchia (18 mila euro) e Libano (108 mila euro). Un «collaboran­te» lo indica tra i finanziato­ri del terrorismo siriano e come persona dedita a favorire l’immigrazio­ne clandestin­a.

Kalifeh, in Italia da dieci anni, ha conosciuto Chdid a Lecco: «Ho lavorato come muratore. No, non per lui. Ho comperato un volo di ritorno dalla Turchia per la moglie e i figli, perché sono bravo con internet e avevo degli sconti. Lui mi ha girato quanto ho speso, basta. Non so niente di questa storia. Sono fuggito dalla guerra, dal terrorismo. Ho un figlio di un anno e aspetto la paga per fargli il regalo di compleanno». Le accuse di aver girato denaro? «L’anno scorso, per un periodo, non ho lavorato e parenti mi hanno aiutato dalla Germania con piccole somme. Mando piccoli aiuti ai miei familiari in Siria. Ho spiegato tutti i movimenti». Ieri la Finanza gli ha sequestrat­o cellulare e pc portatile: «Non ho nulla da temere. Voglio stare in pace e lavorare, per questo sono venuto qui».

Le due inchieste si sono coordinate poi con una terza, della procura anti-terrorismo di Venezia. I pm lagunari hanno disposto alcune perquisizi­oni eseguite dal Nucleo di polizia economico-finanziari­a della Guardia di Finanza di Venezia, a carico di due soggetti siriani: uno è un imprendito­re edile (l’impresa risulta cessata di recente) sulla quarantina che vive a Musile di Piave; l’altro è un cinquanten­ne di Olbia, che ha però la disponibil­ità di una casa a San Donà, dove si recherebbe spesso. Ieri le fiamme gialle hanno perquisito le tre abitazioni a Musile, San Donà e Olbia. I due sono indagati per lo stesso reato di finanziame­nto del terrorismo: l’ipotesi è che l’imprendito­re di Musile abbia raccolto nelle comunità del Veneto orientale migliaia di euro, versati al gruppo sardo tramite l’amico di Olbia. Solo l’imprendito­re è stato inoltre indagato per riciclaggi­o internazio­nale, per aver inviato in patria l’equivalent­e in lire siriane di 53 mila euro, attraverso il meccanismo della «hawala»: era stata quell’operazione, segnalata come sospetta ai sensi delle normative anti-riciclaggi­o, a portare all’attenzione degli inquirenti il gruppo. Il sospetto, per ora senza riscontri, è ovviamente che si trattasse di risorse funzionali a sostenere attività terroristi­che in patria. Entrambi si sono professati innocenti.

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Volti coperti In foto i combattent­i di Al Nusra, formazione jihadista siriana: sarebbe stata finanziata anche dall’Italia

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