Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Mose, da Baita a Minutillo patteggiano gli «accusatori»
Baita ha collaborato e chiede una pena di due anni «tutto compreso». Malumori fuori dall’aula Per gli altri, da Minutillo a Savioli, entità da definire. Rischiano tutti e cinque «confische milionarie»
L’ultima tranche dell’inchiesta che ha scoperchia- to il più grande malaffare del Veneto si chiuderà il prossimo 18 settembre con una raffica di patteggiamenti: tutti i grandi accusatori del «caso Mose», da Piergiorgio Baita a Claudia Minutillo, scenderanno a patti con la giustizia.
Qualcuno, nei mesi scorsi, ci aveva pensato, nonostante fossero tutti rei confessi. Alcuni dei «grandi accusatori» dell’inchiesta sul Mose, facendo dei distinguo su responsabilità e prescrizioni, si erano detti pronti anche ad affrontare il processo. Poi però, dopo un dialogo con la procura, sono tutti «capitolati» e dunque l’ultima tranche dell’inchiesta che ha scoperchiato il più grande malaffare del Veneto si chiuderà il prossimo 18 settembre con una raffica di patteggiamenti, sempre che il gip Gilberto Stigliano Messuti dia il suo via libera. Nel corso dell’udienza di ieri, infatti, i difensori dei 5 imputati hanno tutti annunciato l’intenzione di scendere a patti con la giustizia: dall’ex presidente di Mantovani Piergiorgio Baita al suo ex direttore finanziario Nicolò Buson, dall’ex presidente di Adria Infrastrutture Claudia Minutillo all’ex referente del Coveco Pio Savioli, fino al faccendiere Mirco Voltazza. Tutti accusati, a vario titolo, principalmente di corruzione e reati fiscali.
Finora l’unico a svelare le carte è stato Baita: ieri il suo avvocato Alessandro Rampinelli ha infatti depositato al giudice un’istanza di patteggiamento a due anni, comprensivi di quella pena di un anno e 10 mesi con cui si era conclusa ormai cinque anni fa la prima tranche dell’inchiesta, quella sulle false fatture a San Marino. «Ma non si può dire che l’ingegner Baita abbia avuto una pena di soli due mesi per tutti gli altri reati spiega Rampinelli - La pena è stata integralmente ricalcolata a partire dagli episodi di corruzione, tenendo conto dell’importante contributo dato da Baita con la sua collaborazione». La linea dei pm Stefano Buccini e Stefano Ancilotto è infatti chiara: meglio un patteggiamento veloce, anche se magari ridotto, piuttosto che un processo dagli esiti ignoti, soprattutto sul fronte della prescrizione. E alla domanda sull’entità della pena si rimandava ai due anni e 10 mesi dell’ex governatore Giancarlo Galan o ai due anni della maggior parte degli altri imputati, da Patrizio Cuccioletta ad Alessandro Mazzi. Ieri mattina, però, tra le tante parti civili – seppur a taccuini chiusi – serpeggiava un certo malumore. Ieri il giudice ha accolto la costituzione di Presidenza del Consiglio, Ministero delle Infrastrutture, Regione Veneto, Città metropolitana, Comune di Venezia, Consorzio Venezia Nuova e Agenzia delle Entrate, che però in realtà rischiano di non vedere un euro, salvo le spese legali: dovranno fare una causa civile. E più di qualcuno criticava la pena per Baita, che insieme all’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati è stato il grande protagonista del «sistema» che partiva dalle frodi fiscali e poi usava il nero per le tangenti: nel capo d’imputazione di questo processo gli sono contestati 8 episodi di corruzione, 8 frodi fiscali e 3 finanziamenti illeciti delle campagne elettorali. Anche la tesi del rischio prescrizione non reggerebbe – dicono i legali – a fronte di reati fiscali che si prescrivono nel 2023 e a un episodio di corruzione (il famoso bonifico di 500 mila euro in Svizzera a Cuccioletta, ex presidente del Magistrato alle Acque) che risale al 2013 ed è sotto il regime più severo della legge Severino.
Per gli altri invece il gup Stigliano Messuti ha dato tempo fino al 30 giugno per presentare le istanze di applicazione della pena, che saranno tutte entro i due anni per poter ottenere la sospensione condizionale della pena. Contestualmente dovranno arrivare anche i pareri favorevoli della procura, che però sono scontati. Spetterà poi al giudice dare l’ok. «L’intenzione di Baita è di chiudere il processo con un rito alternativo, qualunque esso sia», aggiunge sibillino Rampinelli, facendo capire che in caso di rigetto del patteggiamento si sceglierà la strada dell’abbreviato.
Il ruolo del gup sarà poi fondamentale su un altro fronte aperto, quello delle confische. Il rinvio a settembre permetterà anche ad alcuni imputati di dimostrare che le loro ex imprese (in primis Mantovani e Coveco, oggi Kostruttiva) hanno saldato il debito tributario con il fisco. In questo modo non saranno costretti a versare nulla. Ma resta la questione delle mazzette, per cui pagheranno il cosiddetto «profitto del reato», calcolato dal giudice. Si parla di cifre alte, che potrebbero arrivare a milioni di euro. «E’ tutto da vedere - taglia corto Rampinelli - perché bisogna dimostrare che cosa ha guadagnato l’ingegner Baita dalle tangenti pagate dalla Mantovani». Tanto per fare un esempio, Mazzi, socio di maggioranza del Consorzio, ha avuto la confisca di 4 milioni di euro.