Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Idoli e immagini: a Venezia le opere del Paleolitico
A settembre nuova mostra della Fondazione Ligabue: 100 opere dal mondo fra Paleolitico e Neolitico
El’uomo creò Dio, a sua immagine e somiglianza lo creò. Lo testimoniano tutti quegli «idoli» che compaiono, tra il 4000 e il 2000 a. C., prima della canonizzazione iconografica del divino. Prima che dalla Mesopotamia faccia capolino Ishtar o che Gilgamesh diventi il dio dei Sumeri.
Questi «idoli», primigenie raffigurazioni antropomorfe del divino, li potremo vedere da vicino in un excursus di pregiatissimi reperti archeologici che spaziano dalla penisola Iberica alla valle dell’Indo - un’occasione veramente unica per l’Italia - dal 15 settembre 2018 fino al 20 gennaio 2019 a Venezia, a Palazzo Loredan, sede dell’Istituto di Scienze Lettere ed Arti in Campo Santo Stefano.
«Idoli. Il potere dell’immagine» è infatti l’attesa, grande mostra a cura di Annie Caubet (conservatrice onoraria del Museo del Louvre, Parigi), organizzata e promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue, e presentata ieri in conferenza stampa a Milano dalla curatrice con Inti Ligabue, figlio del celebre paleontologo già fondatore del Centro studi Ricerche Ligabue, con Alessandro Marzio Magno, nuovo direttore del magazine della Fondazione, Massimo Casarin vice direttore della Fondazione Liguabue e Stefano De Martino, dell’Università di Torino, autore, tra gli altri, del prezioso catalogo edito da Skira.
Proprio De Martino, specializzato nello studio degli Ittiti, specifica: «Dio nasce dall’idea dell’uomo. La raffigurazione dell’immagine della divinità è un pensiero che nasce e si sviluppa tra il Paleolitico e il Neolitico. Quando vengono creati questi idoli di piccole dimensioni perché l’uomo ha bisogno di avere, di sentire Dio vicino».
La mostra ha un corpo di oltre 100 pezzi, dei quali solo 15 reperti provengono dalla strabiliante collezione Ligabue che questa volta si è avvalsa di importanti prestiti da Musei nazionali e internazionali ( da Zurigo ad Oxford, da Madrid a Cipro, Cagliari, Bruxelles solo per citarne alcuni) così come dell’aiuto di collezioni private. Tra i pezzi della collezione Ligabue degna di nota è la «Dama dell’Oxus», detta anche Venere Ligabue perché acquistata da Giancarlo Ligabue agli inizi degli anni ‘70. Si tratta di una statuetta Battriana del terzo millennio a.C. Una donna dell’Età del Bronzo con una strana pettinatura, una profonda scollatura e un lungo mantello che le copre le braccia e le gambe incrociate. Perché se all’inizio gli idoli sono quasi esclusivamente figure femminili, con l’affermarsi di società sempre più strutturate, saranno gli uomini a divenire detentori dell’eidolon, ovvero dell’immagine.
Spiega Inti Ligabue: «Mio padre individuò proprio nel passaggio tra il Paleolitico medio e il superiore, un cambiamento di struttura della psiche che fece virare la religiosità dalla Dea Madre al Dio Padre». Il pezzo più antico della mostra è proprio una figura steatopigia della Grande Madre che accompagna idoli provenienti dalla Sardegna, dalle Cicladi, dall’Iran Orientale e dall’Egitto. Idoli che costruiscono ponti tra loro, come afferma Annie Caubet: «Grazie a questa mostra siamo in grado di mappare sia i contatti materiali che i contatti immateriali tra i popoli. Una prova di questi contatti è l’idolo egiziano, realizzato con lapislazzuli afgani. Così come l’ossidiana sarda che ritroviamo anche negli idoli rinvenuti Anatolia».
La mostra propone al pubblico un percorso tematico e geografico; soprattutto porta il visitatore a comprendere come, dalle prime immagini stilizzate, si passi a una visione sempre più complessa dell’uomo. E del dio. Un’altra mostra importante, questa terza, realizzata da Inti Ligabue nel solco di una continuità filologica: dal mondo che non c’era (l’America) prima della sua scoperta; dalla scrittura prima dell’alfabeto, agli idoli, l’immagine del divino prima di Dio.