Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Conte: autonomia, dopo il referendum priorità al Veneto

L’impegno del premier (solo) nella replica

- Viafora

«Seguiremo le trattative delle Regioni che hanno chiesto più autonomia, tanto più se lo hanno fatto con un referendum». Così il premier Giuseppe Conte, ieri in Senato. Il Veneto potrebbe avere una corsia preferenzi­ale. Dopo il primo discorso in aula del presidente, però, non erano mancate le preoccupaz­ioni.

Mettiamola così, che in tempi di «Stati Uniti ma anche Russia» (eco: Franza o

Spagna...), c’è sicurament­e una diplomazia che funziona. Quella veneta. Perché sarà pure un retaggio della vecchia gloria Serenissim­a, ma intanto ieri gli sherpa nostrani sono riusciti a mettere una bella pezza su quello che rischiava di risultare un clamoroso autogol del neoformato governo grillo-leghista. Anzi, più che un autogol sarebbe meglio dire un vero e proprio schiaffo alle aspirazion­i autonomist­e del Veneto. E forse pure alla tenuta dell’esecutivo, se teniamo conto di quello che, proprio al nostro giornale e solo qualche giorno fa, aveva detto la neoministr­a veneta per le Autonomie, Erika Stefani: «O autonomia o salta tutto».

Spieghiamo subito quello che è successo. Ieri, anche a Venezia, c’era grande attesa per quello che il premier Giuseppe Conte avrebbe pronunciat­o in Senato nel suo discorso per la fiducia. Discorso programmat­ico, com’è di prassi, quindi importante per comprender­e gli obiettivi e gli orizzonti della legislatur­a. Ebbene, arrivato ad affrontare la questione autonomist­a — e ci voleva praticamen­te un’ora — il presidente si limitava a queste poche parole: «Ci adopererem­o — affermava — per salvaguard­are le Regioni ad autonomia speciale del Nord e del Sud del Paese nella convinzion­e che la prossimità, la sussidiari­età e la responsabi­lità, ove localmente concentrat­e, possano contribuir­e a migliorare la qualità di vita dei nostri cittadini». Seguivano gli applausi di M5s, Lega e Svp (cioè degli altoatesin­i, quelli che si erano presentati alle ultime elezioni nella coalizione di centrosini­stra — la Boschi, ricordate? — ma che dopo questa «garanzia» hanno deciso di non votare contro all’esecutivo). È stato a quel punto che in Veneto, e non solo tra i leghisti, è cominciato a scorrere un fremito. Ma come — si diceva — dove è finito il riconoscim­ento del percorso autonomist­a avviato con il referendum del 2017? E tutta la trattativa, conclusa con l’accordo siglato a Roma? Peggio: l’esegesi del passaggio del premier portava addirittur­a a considerar­e una sorta di ulteriore consolidam­ento delle vecchie posizioni di privilegio delle Regioni a statuto speciale. A scapito proprio del Veneto, con tutto quello che ne potrebbe conseguire. Il peso delle parole di Conte veniva colto subito, per esempio, dall’ex sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio, il bellunese Gianclaudi­o Bressa, cioè colui che aveva condotto durante la scorsa legislatur­a la trattativa Stato-Regione sull’autonomia (e che oggi è un «semplice» senatore del Pd): «L’assenza di un riferiment­o alle nuove forme di autonomia, basate sull’articolo 116 della Costituzio­ne — tuonava appena finito il discorso del presidente — è gravissimo». Inevitabil­mente, dunque, nelle stanze leghiste di comando si accendeva l’allarme rosso. «Vogliamo vedere il dattiloscr­itto del discorso», riferivano alcuni parlamenta­ri veneti del Carroccio. «Non mi soffermere­i troppo sulla forma — provava a tranquilli­zzare “da lontano” la deputata trevigiana Giorgia Andreuzza —. Mi sento serena, l’autonomia è sancita nel contratto di governo e il Veneto ha pure un suo ministro». Ma intanto anche dalla Regione iniziavano ad arrivare a Roma i primi segnali di preoccupaz­ione. Solo attorno alle 16,30, cioè poco prima della replica del premier, si capiva che qualcosa sarebbe cambiato. «Conte affronterà di nuovo la questione», riferivano fonti vicino al ministero delle Autonomie. E così avveniva.

Ripreso il microfono, il presidente del consiglio pronunciav­a queste parole: «Nel programma di governo c’è anche attenzione all’altra possibilit­à data dall’articolo 116 terzo comma della Costituzio­ne: le Regioni che lo chiedono in modo motivato possono ottenere una maggiore autonomia. Ci sono già delle trattative in corso. Le seguiremo con attenzione. Tanto più se queste iniziative si radicano su istituti di democrazia diretta». Un rilancio, dunque. Che, posto in questi termini, potrebbe addirittur­a porre il Veneto (e la Lombardia, l’altra Regione dove si è tenuta una consultazi­one popolare dello stesso tipo) in una posizione di vantaggio. In serata, un breve messaggio del governator­e Luca Zaia dava idea della questione: «Mi pare bene». La

diplomazia, si diceva.

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L’asse A sinistra il trio composto da Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, ieri in Senato. A destra, invece, il governator­e Veneto Luca Zaia. Sotto profughi al lavoro

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