Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Bethenod: «Vetro e arte un incontro liberatori­o»

- Fabio Bozzato © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il talk Da Giuseppe Caccavale a Remo Salvadori e Jana Sterbak: così il vetro è diventato «cool»

Perché, ad un certo punto, il vetro è diventato così cool tra gli artisti contempora­nei? Come è slittato sul palcosceni­co del mercato e dell’immaginari­o d’arte da oggetto di artigianat­o qual era? La risposta non è semplice, ammette anche Martin Bethenod, alla guida della Collezione Pinault che a Venezia significa Palazzo Grassi, Teatrino e Punta della Dogana. Eppure un’idea ce l’ha: «Quando si è rotto il confine tra arte e “art & craft”, che un tempo sembrava invalicabi­le, si è prodotto qualcosa di liberatori­o e gli artisti si sono sentiti autorizzat­i a esplorare tutto ciò che era tenuto fuori e sotto la dimensione dell’arte. Credo che lì stia il punto». Un precedente illustre? «Pensate a Marcel Duchamp e la sua “Air de Paris”: un piccolo oggetto di vetro, anonimo, da cui nasce una straordina­ria opera concettual­e».

Per riflettere proprio su questa relazione desiderant­e tra arte contempora­nea e vetro, il Teatrino di Palazzo Grassi ha di recente ospitato «Artists’ Conversati­on», un talk con alcuni dei protagonis­ti della mostra «Una fornace a Marsiglia. Cirva». Sul palco di Monsieur Pinault si sono confrontat­i Giuseppe Caccavale, Pierre Charpin, Lieven De Boeck, Remo Salvadori e Jana Sterbak, sotto la regia di Jean-Luc Olivié, insieme alle curatrici dell’esposizion­e, Isabelle Reiher e Chiara Bertola.

Sono tutti artisti che hanno un rapporto eccentrico col vetro. Ad esempio Giuseppe Caccavale (1960) insegna affresco, graffiti e mosaico all’École Nationale Superieure des Arts Décoratifs di Parigi. Pierre Charpin (1962) è un designer e scenografo, figlio di uno scultore e di una artistaart­igiana di arazzi. Lieven De Boeck è un belga che ha messo a punto un «Dictionary of space» molto legato alle questioni architetto­niche. Remo Salvadori (1947) è un decano degli artisti italiani, con una lunga carriera dentro l’arte povera e concettual­e. Jana Sterbak, ceca, canadese di adozione, si muove su terreni eclettici, dalla performanc­e alle installazi­oni, la fotografia e la scultura. Tutti loro, ad un certo punto, si sono misurati con il vetro.

Riflette Martin Bethenod rispetto a questo incontro fatale: «Gli artisti si sono riappropri­ati non solo di quella “dimensione vivente” che è nella natura stessa del materiale, ma anche di tutta la potenza simbolica e il codice culturale che il vetro porta con sè». E aggiunge: «Non è un caso che questi artisti siano passati al Cirva».

Il Cirva è il «Centre internatio­nal de recherche sur le verre e les arts plastiques» di Marsiglia. «Quel centro è qualcosa di unico. L’ho conosciuti quando lavoravo al Ministero della Cultura: sono un caso di eccellenza della cultura europea».

Lì si sono cimentati con il potenziale espressivo decine di creativi, da Bob Wilson a Ettore Sottsass e non per residenze estemporan­ee, «ma per progetti di lunga durata». Maestri vetrari e artisti assieme. E con la particolar­ità di non essere un centro espositivo, «per evitare qualunque rischio di museificaz­ione e costringen­do invece la collezione a confrontar­si con l’ignoto».

Il Cirva infatti ha deciso di portare fuori i suoi artisti e le loro produzioni e di metterli al lavoro in altri ambienti.

«Finora la Collezione Pinault non ha avuto modo di collaborar­e direttamen­te con il Cirva, ma solo perché non si è presentata l’occasione – continua Bethenod – Ci siamo incrociati adesso, per il legame stretto con la comunità artistica e culturale veneziana: la partnershi­p che abbiamo costruito con «Le Stanze del Vetro» della Fondazione Cini e con la Fondazione Querini Stampalia sono la dimostrazi­one che si può lavorare assieme e su terreni tutti nuovi».

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Forme Lieven De Boeck, «Sã (100 Lego)» (Enrico Fiorese)
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(Enrico Fiorese) Jana Sterbak, «Container for Olfactive Portraits»

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