Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Bethenod: «Vetro e arte un incontro liberatorio»
Il talk Da Giuseppe Caccavale a Remo Salvadori e Jana Sterbak: così il vetro è diventato «cool»
Perché, ad un certo punto, il vetro è diventato così cool tra gli artisti contemporanei? Come è slittato sul palcoscenico del mercato e dell’immaginario d’arte da oggetto di artigianato qual era? La risposta non è semplice, ammette anche Martin Bethenod, alla guida della Collezione Pinault che a Venezia significa Palazzo Grassi, Teatrino e Punta della Dogana. Eppure un’idea ce l’ha: «Quando si è rotto il confine tra arte e “art & craft”, che un tempo sembrava invalicabile, si è prodotto qualcosa di liberatorio e gli artisti si sono sentiti autorizzati a esplorare tutto ciò che era tenuto fuori e sotto la dimensione dell’arte. Credo che lì stia il punto». Un precedente illustre? «Pensate a Marcel Duchamp e la sua “Air de Paris”: un piccolo oggetto di vetro, anonimo, da cui nasce una straordinaria opera concettuale».
Per riflettere proprio su questa relazione desiderante tra arte contemporanea e vetro, il Teatrino di Palazzo Grassi ha di recente ospitato «Artists’ Conversation», un talk con alcuni dei protagonisti della mostra «Una fornace a Marsiglia. Cirva». Sul palco di Monsieur Pinault si sono confrontati Giuseppe Caccavale, Pierre Charpin, Lieven De Boeck, Remo Salvadori e Jana Sterbak, sotto la regia di Jean-Luc Olivié, insieme alle curatrici dell’esposizione, Isabelle Reiher e Chiara Bertola.
Sono tutti artisti che hanno un rapporto eccentrico col vetro. Ad esempio Giuseppe Caccavale (1960) insegna affresco, graffiti e mosaico all’École Nationale Superieure des Arts Décoratifs di Parigi. Pierre Charpin (1962) è un designer e scenografo, figlio di uno scultore e di una artistaartigiana di arazzi. Lieven De Boeck è un belga che ha messo a punto un «Dictionary of space» molto legato alle questioni architettoniche. Remo Salvadori (1947) è un decano degli artisti italiani, con una lunga carriera dentro l’arte povera e concettuale. Jana Sterbak, ceca, canadese di adozione, si muove su terreni eclettici, dalla performance alle installazioni, la fotografia e la scultura. Tutti loro, ad un certo punto, si sono misurati con il vetro.
Riflette Martin Bethenod rispetto a questo incontro fatale: «Gli artisti si sono riappropriati non solo di quella “dimensione vivente” che è nella natura stessa del materiale, ma anche di tutta la potenza simbolica e il codice culturale che il vetro porta con sè». E aggiunge: «Non è un caso che questi artisti siano passati al Cirva».
Il Cirva è il «Centre international de recherche sur le verre e les arts plastiques» di Marsiglia. «Quel centro è qualcosa di unico. L’ho conosciuti quando lavoravo al Ministero della Cultura: sono un caso di eccellenza della cultura europea».
Lì si sono cimentati con il potenziale espressivo decine di creativi, da Bob Wilson a Ettore Sottsass e non per residenze estemporanee, «ma per progetti di lunga durata». Maestri vetrari e artisti assieme. E con la particolarità di non essere un centro espositivo, «per evitare qualunque rischio di museificazione e costringendo invece la collezione a confrontarsi con l’ignoto».
Il Cirva infatti ha deciso di portare fuori i suoi artisti e le loro produzioni e di metterli al lavoro in altri ambienti.
«Finora la Collezione Pinault non ha avuto modo di collaborare direttamente con il Cirva, ma solo perché non si è presentata l’occasione – continua Bethenod – Ci siamo incrociati adesso, per il legame stretto con la comunità artistica e culturale veneziana: la partnership che abbiamo costruito con «Le Stanze del Vetro» della Fondazione Cini e con la Fondazione Querini Stampalia sono la dimostrazione che si può lavorare assieme e su terreni tutti nuovi».