Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Laureati in fuga dal Veneto? È colpa dell’ecosistema: imprese piccole e poche infrastrutture»
Fracasso: «Le aziende investano». Barone: «Siamo il punto debole»
«La chiave di volta per capire la fuga dei cervelli a Nordest è una sola: ecosistema». Tiziano Barone, dal suo osservatorio privilegiato, la direzione di Veneto Lavoro, non ha dubbi. L’allarme lanciato da Banca d’Italia su quell’unico, cruciale, indicatore economico negativo, il capitale umano, è fondato. Oltre cinquemila giovani laureati pieni di talento lasciano la regione. Il prisma sfaccettato delle cause è riconducibile all’ambiente non sufficientemente ospitale che non riesce a trattenerli. «Prendiamo l’Emilia-Romagna, un’altra punta, insieme a Milano e Venezia di quel nuovo triangolo industriale che produce il 40% del Pil. Cos’ha l’Emilia-Romagna più del Veneto? Due cose: le infrastrutture che la collegano a Milano in meno di un’ora e grandi poli imprenditoriali come quello del farmaco e del motorsport. Poli internazionali che con il sistema universitario hanno una connessione costante, per non parlare del turismo con la riviera romagnola così simile al litorale veneto ma così diversa per il livello di specializzazione e di volumi». E il giudizio di Barone è impietoso: «Di quel nuovo triangolo industriale, il Veneto è la punta più debole».
Stefano Fracasso, capogruppo del Pd in Regione, punta il dito verso le imprese che, dopo anni di analisi del problema, continuerebbero ad essere l’anello debole visto che di soldi in ricerca nel privato ne girano ancora troppo pochi. «Crescono i fatturati, la produttività, ma non crescono gli stipendi e i giovani in Veneto scappano. - attacca Fracasso - La politica può aiutare sui servizi, l’accesso alle case popolari e agli asili nido, per dirne una, ma anche le imprese devono chiedersi quanto stanno investendo in capitale umano». L’obiezione più spontanea è che il dna dell’economia veneta resta quello delle piccole e medie imprese, incapaci per mezzi e a volte per vocazione di investire in ricerca. «Non è esattamente così - risponde Elena Donazzan che come assessore regionale si occupa anche di Lavoro. Il reticolo di piccole e piccolissime aziende venete ha un’altra caratteristica: sono fornitori dei driver economici, cioè dei grandi gruppi. Faccio un
Donazzan La Regione lancia la borsa per far incontrare le aziende e chi ha conseguito il dottorato
esempio, una piccolissima azienda del distretto aerospaziale di Schio è in grado di produrre viti che resistono alle condizioni proibitive dello spazio. Ecco, questo reticolo di micro aziende altamente specializzate è spesso il tramite attraverso cui ricerca avanzata e imprese si incontrano. Anzi, le facciamo incontrare noi come Regione alla ”borsa della ricerca” ForDoc, punto di incontro tra dottorandi e aziende, che si svolgerà l’1 e 2 ottobre, a Verona».
E la Regione, da parte sua, ci ha messo un milione e mezzo di euro in borse per il rientro ma, chiaramente, non basta e torna l’ecosistema, soprattutto le infrastrutture: «Le aziende dell’occhialeria di Longarone - spiega Donazzan - hanno già delineato migliaia di figure professionali precise di cui ci sarà bisogno, l’università sarà cruciale ma ad oggi i docenti stessi si rifiutano di arrivare a Belluno, che in treno è un’odissea».
Dal privato al pubblico. Le sfaccettature del prisma sono davvero molte ed è sempre Donazzan che spiega: «La capacità di assorbimento nelle università di chi ha concluso il dottorato sono in una percentuale di uno su dieci. Quali sono gli altri sbocchi? Le imprese, certo, ma anche la pubblica amministrazione. Penso a Sciences Po a Parigi, una scuola di alta formazione per la PA che ha forgiato un’ossatura dello Stato francese particolarmente solida, ne abbiamo discusso giusto oggi (ieri ndr) in un convegno sulla valorizzazione dei dottorati di ricerca con Ca’ Foscari, Iuav e le università di Padova e Trieste, con gli atenei del Nordest stiamo mettendo in campo un piano per far tornare i cervelli in fuga».
I margini ci sono, dai dati di Veneto Lavoro, l’assunzione di laureati in regione è in crescita «Però, - sottolinea Barone - serve un intervento sistemico. Torno sugli esempi vicini e positivi. La Lombardia ha recuperato molto prima di noi i posti di lavoro perduti durante la crisi ma lì il legame fra università e imprese non è scandito da protocolli d’intesa bensì da attività specifiche. Aggiungo che sarebbe utile anche qui un osservatorio dedicato ai settori strategici, dalla logistica al digitale, per monitorare in tempo reale l’evoluzione economica e del mercato del lavoro. Insomma, per leggere la difficoltà che abbiamo con i nostri laureati, la parola chiave è una sola: ecosistema. A partire da quell’alta velocità ferroviaria la cui travagliata realizzazione resta emblematica».