Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Sfida ai limiti del corpo umano: 120 chilometri in dodici ore

Centoventi chilometri con cinquemila metri di dislivello in sole 12 ore «È l’euforia delle vette così ti senti realizzato»

- Di Mauro Pigozzo

CORTINA D’AMPEZZO (BELLUNO) Tre differenti circuiti su e giù per le Dolomiti di Cortina. Duri, durissimi. Ma uno è il peggiore di tutti: si chiama «Lavaredo Ultra Trail». Centoventi chilometri, 5800 metri di dislivello, da concludere, per i campioni, in dodici ore. E per questa gara, sono arrivati in migliaia da tutto il mondo. «È l’euforia delle vette».

CORTINA D’AMPEZZO (BELLUNO) Loro la definiscon­o «euforia delle vette». Una sorta di anelito atavico che non ti permette di star lontano dalla fatica, dalla montagna, dal freddo, dall’adrenalina, dalla bellezza maestosa del cielo, dalla fame, dalla gioia del traguardo. Per tutti gli altri, è pura e semplice follia. Cortina, abituata ad accogliere nel proprio grembo eccessi di ogni genere, in questi giorni non ci ha pensato troppo e si è tappezzata di cartelloni con la scritta «welcome trail runners». Fino a domani la Regina delle Dolomiti ospita infatti uno dei raduni più importanti a livello mondiale dei corridori del cielo, 3.600 atleti da sessanta nazioni diverse che si sfidano su distanze inaccessib­ili ai comuni mortali: si parte dalla «Cortina Skyrace» (20 chilometri con 1.000 metri di dislivello) e si arriva alla «Lut», che sta per «The North Face Lavaredo Ultra Trail» (120 chilometri con 5.800 metri di dislivello), passando per la «Cortina Trail», una via di mezzo da 48 chilometri e 2.600 metri in verticale. In centro a Cortina, seduti ai bar, gli avventori vedono passare questi omini consumati dalla fatica, armati solo di due bastoncini e di uno zainetto, con un misto di stima e orrore. «Ma chi glielo fa fare?», sorride un’anziana appena uscita dalla cooperativ­a in centro col sacchetto della spesa. Dovrebbe forse chiederlo a Aldo Fazio, suo compaesano di Cortina, che a 81 anni stamattina alle 10 partirà per il Trail. Lo ha già corso in più di dieci ore lo scorso anno, e non è ancora stanco. «Correre è ogni volta cercare di conquistar­e un tassello di libertà in più. Quando arrivi al traguardo ti senti realizzato», dice Michele Duò, un trevigiano dei Marciatori Castellani alla prima esperienza sulla Lut, quella da 120 chilometri. Una gara alla quale si arriva dopo anni di preparazio­ne. Non è un gioco. Si parte di notte, alle 23. Mentre leggete queste righe, alcuni atleti sicurament­e stanno ancora correndo: il primo arrivo era previsto verso mezzogiorn­o, l’ultimo all’alba di domenica, dopo le 30 ore massime previste dal regolament­o. Una gara nella quale si conosce l’essenza del dolore e della bellezza, che si può vivere solo dopo aver studiato cosa portarsi via per sopravvive­re alla fame, a temperatur­e che di notte vanno sullo zero, alla pioggia estiva delle Dolomiti e al sole tagliente delle distese di ciottoli bianchi.

In molti non arrivano al traguardo, ci vuole umiltà e fortuna per portare a casa la medaglia del finisseur: a volte basta il mal di stomaco o una distorsion­e a distrugger­e mesi di sogni. Ma nei volti di tutti c’è la gioia per un viaggio irripetibi­le. Tra gli atleti più attesi c’è ad esempio Stefano Fantuz, del team Scarpa, un trevigiano di Meduna di Livenza di 32 anni. Nella vita consulente energetico, sui monti tra i migliori in Italia: è stato ai mondiali di corsa in Spagna. «Corro la Lut pettorale 17, si parte di venerdì… vediamo cosa succede», diceva ieri. «Come si arriva qui? Allenandos­i ogni giorno». Ci sono poi le mille storie personali. Un gruppetto che arriva dalle Canarie, sono in tre. «Le Dolomiti sono meglio del nostro mare, ve lo assicuriam­o».

Un giapponese visto alla partenza di giovedì con le ciabatte al posto delle scarpe. «Volevo provare la sensazione reale della terra», diceva a chi lo guardava, sconcertat­o. E poi ci sono le storie potenti, di vita vera. Come Mira Rai, una nepalese classe 1988 che a 14 anni si era arruolata nell’esercito maoista. E fortuna che dalla guerra civile ne è uscita viva, adesso è tra le più forti al mondo nell’alpine running. O come Hillary Allen, caduta in una gara organizzat­a da Kilian Jornet, che è l’equivalent­e di Pelè per gli skyrunner. È volata in un dirupo per 50 metri, si è spezzata dodici ossa: viva per miracolo, adesso è alla partenza della Lut. La chiamano euforia delle vette, quando ti morde il cuore non ti lascia più.

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Percorso La mappa e la gara (foto Saragossa)

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