Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

BANCHE, IL DOPPIO DEFICIT

- Di Tommaso dalla Massara

La recente sentenza trevigiana che, in buona sostanza, è intervenut­a a «retrodatar­e» la condizione d’insolvenza di Veneto Banca ha un valore pratico e uno simbolico. Il secondo, quello simbolico, va ben oltre la vicenda delle banche venete. Ma andiamo con ordine. Dal punto di vista pratico, la decisione trevigiana apre una nuova prospettiv­a nel senso di un’ulteriore spinta verso la destabiliz­zazione del quadro giuridico: in effetti, al di là dei profili penalistic­i (senza dubbio preminenti nell’ottica del Tribunale), per gli ex soci che nella primavera 2017 avevano accettato l’offerta pubblica di transazion­e si dischiude la possibilit­à di vedersi resa oggetto di revocatori­a la somma, già in sé irrisoria, allora accettata. Questo almeno in teoria. Per varie consideraz­ioni, sia di carattere tecnico che di opportunit­à generale, non ritengo probabile che in definitiva si giungerà davvero a far scattare le revocatori­e. Tuttavia, il sol fatto che dopo un anno dalla messa in liquidazio­ne delle banche venete si sia qui a commentare questa possibilit­à induce a leggere il significat­o simbolico della vicenda. In assenza di un preciso governo politico legislativ­o, i danni derivanti dal crac delle banche si sono sommati, addirittur­a moltiplica­ti e infine hanno sfibrato i territori che quelle precise risposte politiche non sono stati in grado di esprimere. Si guardi lucidament­e al dato di fatto: oggi i territori «finanziari­amente secondari» non sono più in grado di incidere sull’agenda della politica economica del Paese.

Credo che il discorso possa valere indifferen­temente per il Triveneto, che è epicentro di questa crisi bancaria, ma anche per l’Emilia-Romagna (Ferrara docet), come per molte altre parti d’Italia. Una sorta di selezione naturale del potere politicofi­nanziario non ha lasciato spazi vitali a chi, pur certamente ancora rilevante dal punto di vista economico, non si trovava al momento giusto nel cuore stesso di quel potere. Il discorso può leggersi biunivocam­ente: i territori che - con qualche provocazio­ne - ho chiamato «secondari» non sono stati risparmiat­i e, per converso, quei medesimi territori non hanno saputo esprimere una risposta abbastanza energica. È ora molto tardi per tentare di mettere in campo soluzioni che presentino una tenuta tanto economica quanto tecnico-giuridica, a fronte della gravità e della complessit­à della patologia: possono forse intervenir­e, in via di supplenza, le Regioni? Ma hanno la forza politica per farlo? E ne hanno le competenze? Assistere al progressiv­o degenerare del quadro clinico senza che si veda una reazione adeguata fa allora in qualche misura rimpianger­e quelle figure di leader politici tipicament­e «territoria­li» che erano così presenti nella prima Repubblica; erano catalizzat­ori di consenso e quindi azionisti della governance politico-finanziari­a nazionale, in grado di incidere sulle linee di sviluppo di banche, enti e aziende pubbliche e private. Certo, tante volte con gravi distorsion­i clientelar­i. Ma erano pur sempre figure di riferiment­o che, bon gré mal gré, assicurava­no risposte alle esigenze specifiche di un certo territorio.

Ecco dunque la conclusion­e: l’ultimo tassello di questa drammatica vicenda bancaria arriva addirittur­a a evocare qualche rimpianto per quei vecchi leader territoria­li.

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