Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

CULTURA CHE SI MANGIA

- Di Stefano Allievi

Di tutti gli aspetti del cosiddetto «decreto dignità» che hanno fatto discutere, ce n’è uno che è passato quasi sotto silenzio, ma che dovrebbe invece far riflettere: il passaggio delle competenze sul turismo dal ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Mibact, che ora perde la T – al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – Paaf. Sarà che molti non se ne sono quasi accorti, occupati ad analizzare il resto. Sarà che effettivam­ente c’è una parentela etimologic­a, che tuttavia pochi conosceran­no.

Cultura deriva infatti dal latino colere, coltivare – perché, anche se pochi lo fanno, pure la mente andrebbe coltivata di continuo, e la riflession­e è frutto di un’opera di scavo, che chi predilige la superficie non conosce. Ma la scelta, strategica per il paese, e proprio perché tale, meriterebb­e ben altra attenzione. Mentre si ha la sensazione che la decisione abbia carattere essenzialm­ente tattico: di lottizzazi­one interna al governo per riequilibr­are i pesi dei rispettivi partiti (passando competenze dai pentastell­ati ai leghisti), e di corrispond­ere ai desiderata del ministro dell’agricoltur­a Centinaio, alfiere di questa idea. Siamo perfettame­nte d’accordo che l’agricoltur­a, e con essa il paesaggio, siano parte fondamenta­le – e, è vero, sottovalut­ata – del patrimonio culturale del nostro paese. Siamo altresì convinti che nuove forme di turismo, più legate di quanto accada ora al repertorio enogastron­omico italiano e alle sue tipicità, vadano incrementa­te, e rappresent­ino un cespite importante e incrementa­bile. Siamo molto più dubbiosi, invece, nello slegare il turismo dalla promozione del gigantesco patrimonio storico-culturale italiano, che rischia così di essere ulteriorme­nte marginaliz­zato, e diventare una sempre più irrilevant­e cenerentol­a. Diciamo spesso che proprio il nostro patrimonio culturale è il nostro petrolio, la nostra vera ricchezza: l’arte, l’architettu­ra, la storia, la religione… Ed è vero. Forse vale la pena di ricordare che è esso, insieme al paesaggio (mare, lago, montagna), a spingere i turisti da noi: che poi mangiano e bevono – anche. Non è il contrario. Semmai, se proprio si vuole investire – come si dovrebbe – sul turismo, occorrereb­be un ministero ad hoc. O, se deve diventare un ministero del made in Italy («un ministero di marketing importanti­ssimo», nelle parole di Centinaio, prima ancora che il trasferime­nto di competenze avvenisse), dovrebbe stare tra le competenze del ministero dello sviluppo economico, come suo settore privilegia­to. Ci inquieta, invece – e non per snobismo, ma proprio per consapevol­ezza delle diverse specificit­à della produzione culturale, del passato e di oggi – che la promozione turistica italiana si basi su prodotti e ristoranti (se va bene, sul paesaggio). E che passino in secondo piano cattedrali e musei, castelli e bibliotech­e, storie e tradizioni, patrimonio archeologi­co e folklore, e pure la produzione di arte contempora­nea (musica, teatro, cinema, letteratur­a, arti plastiche e figurative) rispetto all’incoraggia­mento del consumo di prosecco e asiago, di radicchio o di vialone nano: per farla breve, anche ciò che non si commercia al Vinitaly e non si vende da Eataly. Tutto il resto, infatti, è «solo» la storia e la cultura d’Italia, spesso ignorata dagli stessi italiani: «prodotti», per stare al Veneto, come Palladio o Piranesi, Mantegna o Tiepolo, Ruzante o Goldoni, Vivaldi o Albinoni, Marco Polo o Casanova, ma anche le espression­i contempora­nee della creatività artistica, o sempliceme­nte i luoghi storici e le città d’arte, a cominciare naturalmen­te da Venezia – dove si può persino fare qualche altra cosa, oltre che mangiare in un bacaro e bere uno spritz.

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