Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Lavoro, scenario confuso sotto il cielo pentastellato
Un’urgenza che non ha alcuna giustificazione, se non quella di affermare esistiamo, eccoci qui, finalmente tocca a noi dire come la pensiamo, affermazione di sé legittima politicamente, sia chiaro, ma che ha come unico effetto quello di creare confusione, intervenendo su una materia, quella dei contratti a termine, che interessa più del 65% delle nuove assunzioni. Cosa vuol dire? Che chiunque intenda fare assunzioni in questi giorni e nelle prossime settimane dovrà tener conto di regole nuove che riguardano, e stravolgono, la disciplina dei contratti a termine, e cioè della tipologia di contratti che più spesso viene usata per assumere lavoratori. Veniamo, comunque, al merito del provvedimento, voluto dal vicepremier M5S, Di Maio, con due premesse. La prima: per le imprese (che assumono e danno lavoro) non c’è una legge giusta o una legge buona, c’è la legge e punto. E sulla base della legge prendono decisioni, contando per quanto possibile su un quadro normativo che sia stabile, onde evitare di dover fare i conti con assetti normativi che, cambiando nel tempo, portano incertezza. Ora, le aziende che hanno tempo indeterminato) a tutele crescenti si trovano, da un giorno all’altro, a fare i conti con una nuova disciplina che raddoppia i costi di un licenziamento: ciò significa che tutte quelle aziende che in questi anni hanno assunto a tempo indeterminato, anche in ragione dei costi che avrebbero sostenuto se avessero voluto liberarsi del contratto, da domani dovranno sostenere costi maggiori, pari al doppio di quelli preventivati. Ma non è il merito che conta, è il contesto: quale fiducia possono avere le aziende in un Paese che promette, ma non mantiene mai? In uno Stato che stravolge le regole a ogni cambio di Governo? Cosa può pensare un imprenditore di leggi che cambiano in continuazione? Come può operare un’impresa senza un quadro normativo che consenta di fare scelte prevedibili? La seconda premessa: se c’è confusione, si litiga. Se un testo legislativo non è chiaro, o si presta a più interpretazioni e, leggendolo, si capisce poco, inevitabilmente fioriscono opinioni diverse, quindi contrasti e liti. In termini giuridici significa che si va dal giudice a chiedere chi ha ragione. Ma anche i giudici sono persone e come gli operatori anche loro possono avere idee diverse, leggere le norme in sensi diversi e si ritorna a quella caotica incertezza che fa dire tanto poi chissà cosa ne pensano i giudici. Ora, può stare anche bene reintrodurre l’obbligo di indicare una ragione giustificatrice per le assunzioni a termine, quando il contratto dura più di 12 mesi (con il limite massimo di 24 mesi e non più 36), ma cosa vuol dire che il nuovo contratto a termine o la proroga oltre i 12 mesi è ammessa solo a fronte di esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori (è una delle due ipotesi, e l’altra si riferisce a esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività)? Provate a rileggere il testo in corsivo, che è scritto così, senza virgola dopo ordinaria attività, e provate a rispondere alla domanda ma di che cosa stiamo parlando? Che confusione. Poi perché reintrodurre simili obblighi di carattere formale (che in concreto significa che dovremo tornare a scervellarci per scrivere qualcosa nei contratti), quando l’abolizione delle causali nei contratti a termine aveva azzerato il contenzioso in materia, senza alcun significativo impatto sulla dinamica delle assunzioni (che ora come 10 anni fa sono per lo più a termine, almeno all’inizio del rapporto)? Si risponderà che maggiori vincoli per le assunzioni a termine costringeranno le imprese ad assumere di più a tempo indeterminato, che maggiori tutele per i lavoratori ridaranno loro più dignità? Sono solo parole, senza alcun significato, in quanto la storia del diritto del lavoro insegna che mettere limiti alle assunzioni a termine riduce soltanto il periodo di impiego dei dipendenti (a termine), potendo contare le imprese su un numeroso esercito di riserva che mette a disposizione manodopera bisognosa di lavoro (anche a termine); e, dall’altra parte, aumentare i costi dei licenziamenti in caso di assunzioni a tempo indeterminato disincentiva le assunzioni a tempo indeterminato, anche se quelle a termine costano di più. Ciò detto, cosa cambia con il decreto Dignità? Tre cose (le più importanti): 1) i contratti a termine non possono durare più di 24 mesi; 2) dopo i primi 12 mesi che sono liberi, le nuove assunzioni a termine o le proroghe di contratti a termine possono farsi solo se ci sono ragioni di carattere temporaneo; 3) in caso di licenziamento di un dipendente assunto con contratto a tutele crescenti, l’indennità minima, se il licenziamento è illegittimo, è pari a 6 mensilità mentre il tetto massimo è di 36 mensilità. Tre righe e vengono spazzati via gli ultimi 4 anni di riforme. Bene per chi?