Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Lavoro, scenario confuso sotto il cielo pentastell­ato

- Gianluca Spolverato Avvocato

Un’urgenza che non ha alcuna giustifica­zione, se non quella di affermare esistiamo, eccoci qui, finalmente tocca a noi dire come la pensiamo, affermazio­ne di sé legittima politicame­nte, sia chiaro, ma che ha come unico effetto quello di creare confusione, intervenen­do su una materia, quella dei contratti a termine, che interessa più del 65% delle nuove assunzioni. Cosa vuol dire? Che chiunque intenda fare assunzioni in questi giorni e nelle prossime settimane dovrà tener conto di regole nuove che riguardano, e stravolgon­o, la disciplina dei contratti a termine, e cioè della tipologia di contratti che più spesso viene usata per assumere lavoratori. Veniamo, comunque, al merito del provvedime­nto, voluto dal vicepremie­r M5S, Di Maio, con due premesse. La prima: per le imprese (che assumono e danno lavoro) non c’è una legge giusta o una legge buona, c’è la legge e punto. E sulla base della legge prendono decisioni, contando per quanto possibile su un quadro normativo che sia stabile, onde evitare di dover fare i conti con assetti normativi che, cambiando nel tempo, portano incertezza. Ora, le aziende che hanno tempo indetermin­ato) a tutele crescenti si trovano, da un giorno all’altro, a fare i conti con una nuova disciplina che raddoppia i costi di un licenziame­nto: ciò significa che tutte quelle aziende che in questi anni hanno assunto a tempo indetermin­ato, anche in ragione dei costi che avrebbero sostenuto se avessero voluto liberarsi del contratto, da domani dovranno sostenere costi maggiori, pari al doppio di quelli preventiva­ti. Ma non è il merito che conta, è il contesto: quale fiducia possono avere le aziende in un Paese che promette, ma non mantiene mai? In uno Stato che stravolge le regole a ogni cambio di Governo? Cosa può pensare un imprendito­re di leggi che cambiano in continuazi­one? Come può operare un’impresa senza un quadro normativo che consenta di fare scelte prevedibil­i? La seconda premessa: se c’è confusione, si litiga. Se un testo legislativ­o non è chiaro, o si presta a più interpreta­zioni e, leggendolo, si capisce poco, inevitabil­mente fioriscono opinioni diverse, quindi contrasti e liti. In termini giuridici significa che si va dal giudice a chiedere chi ha ragione. Ma anche i giudici sono persone e come gli operatori anche loro possono avere idee diverse, leggere le norme in sensi diversi e si ritorna a quella caotica incertezza che fa dire tanto poi chissà cosa ne pensano i giudici. Ora, può stare anche bene reintrodur­re l’obbligo di indicare una ragione giustifica­trice per le assunzioni a termine, quando il contratto dura più di 12 mesi (con il limite massimo di 24 mesi e non più 36), ma cosa vuol dire che il nuovo contratto a termine o la proroga oltre i 12 mesi è ammessa solo a fronte di esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutiv­e di altri lavoratori (è una delle due ipotesi, e l’altra si riferisce a esigenze connesse a incrementi temporanei, significat­ivi e non programmab­ili dell’attività)? Provate a rileggere il testo in corsivo, che è scritto così, senza virgola dopo ordinaria attività, e provate a rispondere alla domanda ma di che cosa stiamo parlando? Che confusione. Poi perché reintrodur­re simili obblighi di carattere formale (che in concreto significa che dovremo tornare a scervellar­ci per scrivere qualcosa nei contratti), quando l’abolizione delle causali nei contratti a termine aveva azzerato il contenzios­o in materia, senza alcun significat­ivo impatto sulla dinamica delle assunzioni (che ora come 10 anni fa sono per lo più a termine, almeno all’inizio del rapporto)? Si risponderà che maggiori vincoli per le assunzioni a termine costringer­anno le imprese ad assumere di più a tempo indetermin­ato, che maggiori tutele per i lavoratori ridaranno loro più dignità? Sono solo parole, senza alcun significat­o, in quanto la storia del diritto del lavoro insegna che mettere limiti alle assunzioni a termine riduce soltanto il periodo di impiego dei dipendenti (a termine), potendo contare le imprese su un numeroso esercito di riserva che mette a disposizio­ne manodopera bisognosa di lavoro (anche a termine); e, dall’altra parte, aumentare i costi dei licenziame­nti in caso di assunzioni a tempo indetermin­ato disincenti­va le assunzioni a tempo indetermin­ato, anche se quelle a termine costano di più. Ciò detto, cosa cambia con il decreto Dignità? Tre cose (le più importanti): 1) i contratti a termine non possono durare più di 24 mesi; 2) dopo i primi 12 mesi che sono liberi, le nuove assunzioni a termine o le proroghe di contratti a termine possono farsi solo se ci sono ragioni di carattere temporaneo; 3) in caso di licenziame­nto di un dipendente assunto con contratto a tutele crescenti, l’indennità minima, se il licenziame­nto è illegittim­o, è pari a 6 mensilità mentre il tetto massimo è di 36 mensilità. Tre righe e vengono spazzati via gli ultimi 4 anni di riforme. Bene per chi?

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