Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Aggregatori contro campanilisti La fusione in Confindustria interroga il Nordest frammentato
Questa volta, almeno, c’è qualcuno che oltre a predicare bene ha dato anche il buon esempio. Nei convegni, tutti bravissimi a parlare di aggregazioni come valore aggiunto per la competitività delle imprese e dei servizi di un territorio: concetto verissimo, solo che quando si tratta di passare dall’elaborazione teorica alla pratica, l’ombra dei campanili locali continua a stagliarsi minacciosa. Invece, Confindustria Padova e Treviso l’hanno fatto veramente: la loro unione in Assindustria Centro, sancita a giugno, ha sicuramente una valenza politica prima ancora che operativa, ma ciò non toglie che il sasso lanciato nello stagno nordestino abbia le dimensioni di un masso. E infatti, l’aggregazione celebrata sotto le insegne confindustriali ha avuto l’effetto di riaccendere un potentissimo riflettore sulla questione di fondo: le vogliamo fare oppure no, queste benedette aggregazioni?
Sotto lo slogan di copertina «Abbattiamo i campanili», il nuovo numero di Corriere Imprese Nordest (domani in edicola all’interno del Corriere della Sera) torna su questi temi, con un’ampia inchiesta di approfondimento, interviste e focus sui territori e le città più direttamente interessate dai fermenti aggregatori (o disgregatori, dove ancora prevalgono i campanili) . La fotografia di un territorio ancora estremamente frammentato, fermo a un’idea di bacini e confini provinciali ormai abbondantemente superata dalla geopolitica e più ancora dall’economia, ci viene in particolare dal comparto delle multiutility - le ex municipalizzate che erogano servizi di publica utilità - così come è stato radiografato dal recentissimo rapporto curato da Ires-Cgil. Ebbene, in Veneto risultano operative ben 111 società, tra pubbliche e private, che si occupano di acquedotti, rifiuti, trasporti pubblici, energia e gas; in Friuli Venezia Giulia, regione che ha un quarto degli abitanti del Veneto, il numero scende a 26. Ma è il confronto con la vicina Emilia-Romagna, regione omogenea per dimensioni e demografia, a stridere moltissimo: qui, sotto la regia della Regione - un ruolo che, al contrario, la Regione Veneto non ha esercitato - sono state messe a punto diverse operazioni di fusione e aggregazione, tanto che il numero delle società «superstiti» è di appena 38. Alcune delle quali, come Hera (4,5 miliardi di fatturato) e Iren (3,3 miliardi), si sono affermate come autentici colossi in campo nazionale.
La questione delle dimensioni non è affatto secondaria: «Chi rimane piccolo - avverte Giuseppe Barba, il ricercatore che ha curato il dossier Ires - finisce per scatenare gli appetiti dei più grandi. Perciò il Nordest rischia di diventare terra di conquista».
Questo sarebbe già abbastanza, ma non è tutto. Il tema si trasferisce anche alla competitività delle singole realtà aziendali. Giovanni Gajo, decano delle operazioni straordinarie d’impresa con la sua Alcedo Sgr, non ha dubbi di sorta: gli imprenditori dovrebbero prendere esempio dall’aggregazione tra le Confindustrie di Padova e Treviso per adottare la stessa soluzione con le loro aziende. Sostiene Gajo: «Il concorrente è meglio gestirlo da socio che da avversario. Oggi lo spirito associativo deve prevalere su quello padronale. Basta guerre tra aziende che fanno le stesse cose a venti chilometri di distanza, i concorrenti li abbiamo già nel mondo».