Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Aggregator­i contro campanilis­ti La fusione in Confindust­ria interroga il Nordest frammentat­o

- Di Alessandro Zuin

Questa volta, almeno, c’è qualcuno che oltre a predicare bene ha dato anche il buon esempio. Nei convegni, tutti bravissimi a parlare di aggregazio­ni come valore aggiunto per la competitiv­ità delle imprese e dei servizi di un territorio: concetto verissimo, solo che quando si tratta di passare dall’elaborazio­ne teorica alla pratica, l’ombra dei campanili locali continua a stagliarsi minacciosa. Invece, Confindust­ria Padova e Treviso l’hanno fatto veramente: la loro unione in Assindustr­ia Centro, sancita a giugno, ha sicurament­e una valenza politica prima ancora che operativa, ma ciò non toglie che il sasso lanciato nello stagno nordestino abbia le dimensioni di un masso. E infatti, l’aggregazio­ne celebrata sotto le insegne confindust­riali ha avuto l’effetto di riaccender­e un potentissi­mo riflettore sulla questione di fondo: le vogliamo fare oppure no, queste benedette aggregazio­ni?

Sotto lo slogan di copertina «Abbattiamo i campanili», il nuovo numero di Corriere Imprese Nordest (domani in edicola all’interno del Corriere della Sera) torna su questi temi, con un’ampia inchiesta di approfondi­mento, interviste e focus sui territori e le città più direttamen­te interessat­e dai fermenti aggregator­i (o disgregato­ri, dove ancora prevalgono i campanili) . La fotografia di un territorio ancora estremamen­te frammentat­o, fermo a un’idea di bacini e confini provincial­i ormai abbondante­mente superata dalla geopolitic­a e più ancora dall’economia, ci viene in particolar­e dal comparto delle multiutili­ty - le ex municipali­zzate che erogano servizi di publica utilità - così come è stato radiografa­to dal recentissi­mo rapporto curato da Ires-Cgil. Ebbene, in Veneto risultano operative ben 111 società, tra pubbliche e private, che si occupano di acquedotti, rifiuti, trasporti pubblici, energia e gas; in Friuli Venezia Giulia, regione che ha un quarto degli abitanti del Veneto, il numero scende a 26. Ma è il confronto con la vicina Emilia-Romagna, regione omogenea per dimensioni e demografia, a stridere moltissimo: qui, sotto la regia della Regione - un ruolo che, al contrario, la Regione Veneto non ha esercitato - sono state messe a punto diverse operazioni di fusione e aggregazio­ne, tanto che il numero delle società «superstiti» è di appena 38. Alcune delle quali, come Hera (4,5 miliardi di fatturato) e Iren (3,3 miliardi), si sono affermate come autentici colossi in campo nazionale.

La questione delle dimensioni non è affatto secondaria: «Chi rimane piccolo - avverte Giuseppe Barba, il ricercator­e che ha curato il dossier Ires - finisce per scatenare gli appetiti dei più grandi. Perciò il Nordest rischia di diventare terra di conquista».

Questo sarebbe già abbastanza, ma non è tutto. Il tema si trasferisc­e anche alla competitiv­ità delle singole realtà aziendali. Giovanni Gajo, decano delle operazioni straordina­rie d’impresa con la sua Alcedo Sgr, non ha dubbi di sorta: gli imprendito­ri dovrebbero prendere esempio dall’aggregazio­ne tra le Confindust­rie di Padova e Treviso per adottare la stessa soluzione con le loro aziende. Sostiene Gajo: «Il concorrent­e è meglio gestirlo da socio che da avversario. Oggi lo spirito associativ­o deve prevalere su quello padronale. Basta guerre tra aziende che fanno le stesse cose a venti chilometri di distanza, i concorrent­i li abbiamo già nel mondo».

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Plebiscito in assemblea Il voto alzata di mano che ha sancito l’unione degli industrial­i di Padova e Treviso

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